“Qui riposava il beato Livatino”. Questa la frase impresa su una lapide bianca che da alcuni giorni compare all’esterno della tomba di famiglia del giudice Rosario Livatino, all’interno del cimitero di Canicattì. Come tutti sanno la salma del magistrato è stata traslata (non senza polemiche) all’interno della parrocchia di Santa Chiara a Canicattì. Ci hanno pensato evidentemente i familiari del magistrato assassinato dalla mafia il 21 settembre 1990 a manifestare in questo modo decisamente civile, ma con una punta di amarezza, la volontà di ricordare come la salma del giudice fosse tumulata nella cappella di famiglia. Una “puntualizzazione” che ha in Vincenzo Gallo, socio tra i più attivi dell’associazione amici del giudice Rosario Livatino, parente del martire di mafia, il promotore anche attraverso i social, ma anche per altri “messaggi” rivolti dallo stesso Gallo all’opinione pubblica. Basti ricordare i manifesti (nella foto in basso) fatti affiggere ad Agrigento, nei quali erano raffigurati i loculi dei genitori di Livatino e dello stesso giudice, prima e dopo la traslazione del beato.

A distanza di alcuni giorni dall’esposizione pubblica della salma del beato, il cui volto è stato sostanzialmente ricostruito con uso di silicone e il corpo vestito con una toga, la lapide sistemata nella cappella di famiglia vuole essere più di un “ricordo” per coloro i quali si recano nel campo santo. Vuole essere un segnale di civile protesta per una decisione – secondo molti osservatori – presa dalla Curia senza tenere conto della riservatezza che aveva caratterizzato in vita Rosario Livatino. Un magistrato devoto a Dio, al lavoro e avulso dai palcoscenici, dalla ribalta e dal desiderio di esporsi. Esattamente l’opposto di quello al quale – da morto, dopo quasi 35 anni dalla morte – è sottoposto. 

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