“Lo chiamavo Sistema Agrigento, oggi lo chiama così anche la magistratura”. Di Rosa rivendica le sue denunce: “Tutto quello che ho detto, ora è nero su bianco”
AGRIGENTO – “Lo chiamavo Sistema Agrigento quando nessuno osava dirlo. Quando mi ridevano in faccia, mi ignoravano, mi attaccavano o provavano a screditarmi. Oggi a parlare non sono io, ma le carte giudiziarie”. Con queste parole, Giuseppe Di Rosa, da sempre voce scomoda e controcorrente nella denuncia delle opacità agrigentine, commenta l’articolo pubblicato oggi da La Repubblica che, senza più mezzi termini, racconta il volto criminale e affaristico che da anni governa appalti, incarichi e relazioni istituzionali nella provincia di Agrigento.
L’indagine condotta dalla Procura di Agrigento – guidata da Giovanni Di Leo – scoperchia un sistema di potere fatto di favori, mazzette, appalti pilotati e ruoli politici usati per favorire aziende amiche, con una rete di soggetti che ruotano attorno a nomi noti come l’ex assessore regionale Roberto Di Mauro, l’architetto Sebastiano Alesci, e una schiera di funzionari pubblici, politici e imprenditori.
“La Repubblica oggi lo scrive nero su bianco. Gli incontri, le telefonate, le intercettazioni, le manovre. E tutto converge in quel meccanismo perverso che io chiamavo Sistema Agrigento” – sottolinea Di Rosa – “e che oggi, dopo anni di silenzi e complicità, viene finalmente smascherato.”
Dai blitz AICA a Villa del Sole: le prove concrete
Chi ha seguito Report Sicilia sa bene che le denunce di Giuseppe Di Rosa non sono una novità. Dal blitz negli uffici di AICA, fino al caso eclatante della distruzione della Villa del Sole, passando per i progetti sospetti legati ad Agrigento Capitale della Cultura, Di Rosa ha tracciato una mappa del malaffare che oggi appare tristemente confermata.
“Ho sempre detto che Villa del Sole era solo un tassello di un mosaico più ampio. Lì si cementifica in zona vincolata, con procedimenti accelerati e silenzi istituzionali, mentre i cittadini vengono presi in giro con slogan su cultura e legalità” – incalza – “ora tutto torna: gli stessi nomi, le stesse logiche, lo stesso metodo.”
Di Mauro, Alesci e il ritorno del ‘92
Il riferimento è diretto anche a quanto pubblicato nell’altro recente articolo: “Agrigento 1992-2025: il ritorno del sistema Di Mauro”, dove si documenta il ritorno in scena di una rete di potere riconducibile a logiche clientelari, affaristiche e opache. E oggi, come allora, a pagare è la città.
“Altro che legalità. Altro che rinascita culturale. Qui siamo davanti al più grande tradimento delle istituzioni nei confronti della comunità agrigentina” – afferma Di Rosa – “Chi aveva il dovere di controllare, ha chiuso gli occhi. Chi doveva garantire imparzialità, ha spalancato le porte al privilegio. E oggi è troppo tardi per far finta di nulla.”
Una città ostaggio del suo passato (che non passa mai)
Con la nuova inchiesta giudiziaria, la magistratura sembra confermare in pieno il paradigma descritto da Di Rosa da oltre dieci anni. Un sistema che si nutre di appalti pubblici, società partecipate, consulenze su misura e incarichi politici ad personam, mentre la città soffre tra mancanza d’acqua, degrado urbano, servizi sociali al collasso e giovani costretti ad emigrare.
“Ma oggi la verità viene a galla. La chiamano Tangentopoli agrigentina, ma per me è sempre stato semplicemente il Sistema Agrigento. E chi ha contribuito, anche solo con il silenzio, dovrebbe avere il coraggio di farsi da parte.”
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