Un regista, l’ossessione del passato e il confine tra memoria e follia: sta per prendere forma “La Macchina del Tempo”, il nuovo cortometraggio firmato da Fabio Bagnasco.
Le riprese si terranno a Montalbano Elicona, in provincia di Messina.
Il regista e autore, da sempre attratto dai territori liminali tra realtà, allucinazione e tempo interiore, indaga il potere del cinema non solo come mezzo di rappresentazione ma anche come strumento di evocazione, quasi esoterico, che può aprire portali e ferite.
Un’opera breve ma ambiziosa, capace di mettere lo spettatore davanti a una domanda disturbante: è possibile davvero raccontarsi o il tentativo stesso condanna a perdersi nel riflesso deformante di ciò che si è stati?
Il progetto, attualmente in fase di preparazione, si ispira in parte alla controversa vicenda del cronovisore di padre Pellegrino Ernetti: un ipotetico dispositivo simile a un televisore a cui si attribuiva la capacità di visualizzare eventi del passato.
Il monaco benedettino sosteneva di averlo realizzato con il supporto di altri scienziati, tra cui Enrico Fermi, e che fosse in grado di ricostruire suoni e immagini.
Non sono mai esistite prove concrete né dell’esistenza né del funzionamento del dispositivo che, secondo alcuni, sarebbe nascosto nelle stanze segrete del Vaticano.
Al “caso Ernetti” – ben raccontato nel saggio del critico cinematografico Davide Pulici dal titolo “Le fauci del tempo”, pubblicato da Nocturno Books – si ispira il lavoro di Fabio Bagnasco, che però declina il tutto in forma assolutamente originale, affondando lo sguardo nei labirinti della psiche e della memoria.
Reduce dai consensi dei corti “Argos” e “Un Giorno in Più”, rispettivamente del 2021 e del 2023, il regista palermitano si conferma capace di “giocare” con il passato: autore di un cinema onirico e sensoriale, indaga il valore quantico del tempo e dell’identità.
Fabio Bagnasco – che molti ricordano anche per avere portato in Sicilia il compianto David Lynch – vanta prestigiose collaborazioni: tra le più significative, quella con l’indimenticabile Franco Battiato, per cui ha prodotto, tra l’altro, “Attraversando il Bardo”, riflessioni sul passaggio tra la vita e la morte del Maestro originario di Jonia.
LA TRAMA : UN DOCUMENTARIO CHE APRE UNA FRATTURA
Il protagonista del corto è un regista impegnato nella realizzazione di un documentario autobiografico.
Nel tentativo di dare ordine al suo passato lacerato, cerca di restituire coerenza e senso all’intero percorso esistenziale attraverso immagini di repertorio e frammenti visivi raccolti nel tempo.
La sua compagna, figura presente ma inquieta, condivide l’ossessione del regista e, pur temendone le derive, lo sostiene nell’impresa.
Il montaggio procede e, progressivamente, il confine tra ciò che è accaduto è ciò che appartiene alla sfera dell’immaginazione inizia a sfaldarsi.
L’archivio non è innocente e l’atto creativo diventa un rituale pericoloso, una vera e propria macchina del tempo che non si limita a resuscitare i ricordi ma anche i fantasmi sepolti nella mente.
IL CRONOVISORE COME METAFORA
Nel film di Fabio Bagnasco, la ricerca del vero si traduce in un atto di disgregazione mentale, in cui l’urgenza di capire il passato si scontra con la sua natura mutevole, manipolabile, fittizia e opaca.
Il documentario autobiografico diviene così un’opera impossibile, che rivela più di quanto lo stesso regista sia disposto a raccontare e affrontare.
Pur non comparendo esplicitamente, il congegno di padre Pellegrino Ernetti riecheggia come una potente metafora, permeando il racconto con una suggestione simbolica.
L’idea di uno strumento capace di “vedere nel passato” si trasforma dunque in un concetto cinematografico e psichico: il montaggio assume le caratteristiche di un atto divinatorio e il cinema si configura quale macchina del tempo che non solo registra, ma reinventa e deforma.
Il cortometraggio, denso e stratificato, è sospeso tra cinema sperimentale, horror psicologico e introspezione emotiva.
L’estetica si muove tra immagini d’archivio manipolate, ambientazioni claustrofobiche e una fotografia che alterna il reale al viscerale.
Il passato emerge come un territorio ostile, dove ogni fotogramma può nascondere un trauma, un’illusione o una verità rimossa.
Fonte foto : Facebook

