di Giuseppe Di Rosa – Editore di Report Sicilia

Il 19 luglio non è una data qualunque. È il giorno in cui lo Stato perse uno dei suoi figli migliori. È il giorno in cui Paolo Borsellino fu assassinato in via D’Amelio insieme ai cinque agenti della sua scorta. È il giorno in cui la mafia pensò di aver vinto. Ma è anche il giorno in cui molti di noi hanno deciso di non chinare più la testa.

Oggi, 19 luglio 2025, a distanza di 33 anni da quella strage, non possiamo limitarci a commemorare. Dobbiamo anche denunciare. Perché la mafia non è sparita: si è trasformata, si è vestita di giacca e cravatta, si è seduta nei consigli di amministrazione, nei consigli comunali, negli assessorati, nei palazzi della burocrazia e degli affari. È la mafia dei colletti bianchi, quella che firma appalti truccati, che lucra sull’acqua, sui rifiuti, sui diritti dei più deboli. Quella che non spara, ma corrompe. Che non uccide con l’esplosivo, ma uccide il futuro dei nostri figli.

Chi fa informazione, chi fa inchieste, chi dice la verità – anche quando fa male – è oggi il nuovo bersaglio. Le intimidazioni non arrivano con le minacce esplicite, ma con le querele temerarie, con gli ostracismi politici, con il silenzio complice delle istituzioni. Ma noi di Report Sicilia ci siamo. E ci saremo.

Da anni porto avanti una battaglia che molti considerano folle: dimostrare che si può amministrare anche senza rubare, che si può governare senza distruggere, che si può costruire una città, una provincia, una Regione che non emargina ma che dà pari dignità a tutti.

È una battaglia difficile, perché il “Sistema” reagisce. Ma è una battaglia giusta. E oggi, più che mai, mi sento di dire che onorare Borsellino significa non arrendersi mai.

Non basta intitolargli una scuola, una piazza, un’aula del tribunale. Serve un impegno concreto, ogni giorno. Vuol dire non girarsi dall’altra parte quando si scopre una tangente, un abuso, un appalto pilotato. Vuol dire difendere i diritti, anche quando farlo significa restare soli.

Paolo Borsellino diceva che la mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari. Aveva ragione. Ma a quell’esercito devono unirsi anche giornalisti, cittadini, impiegati pubblici, imprenditori onesti, e soprattutto amministratori coraggiosi. Se non ce ne sono, dobbiamo formarli. E se chi ci governa ha dimenticato che il potere è servizio, allora dobbiamo toglierglielo con la forza della legalità e della verità.

Noi continueremo a farlo. Anche da soli. Perché la solitudine di chi dice la verità vale più del consenso di chi vive nella menzogna.

In questo 19 luglio, non celebriamo solo un eroe caduto. Facciamoci carico del suo sogno. Perché la vera antimafia non è una parola, è una scelta di vita.

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