Agrigento. La chiamavano The Silent Room, la stanza del silenzio, spazio meditativo pensato per l’anno di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025. Ma nella città dei Templi – dove l’acqua manca, le strade crollano e le periferie soffocano – quel nome si è trasformato nella più amara delle ironie. Gli agrigentini la chiamano oggi “THE ROOM OF SHAME” “la stanza della vergogna”. Un’installazione tanto evocativa quanto inutile, emblema di uno spreco vergognoso e di una gestione imposta da Palermo con la complicità silenziosa di un’amministrazione cittadina incapace di alzare la voce.
Il progetto, i costi, la bugia
Inserito nel dossier ufficiale di candidatura, il progetto prevedeva un budget iniziale di 100.000 euro. Poi, come accade spesso con gli appalti “culturali”, il costo è lievitato oltre ogni logica: due determine firmate dal Parco Archeologico della Valle dei Templi – stazione appaltante per conto della Fondazione Agrigento 2025 – portano la spesa a 151.321 euro IVA compresa, così ripartiti:
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Determina n. 520 del 3 giugno 2025: affidamento all’artista Nathalie Harb per 93.685 € IVA compresa Determina+Dirigenziale+2025-520
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Determina n. 600 del 24 giugno 2025: affidamento alla ditta Più39 S.r.l. per 57.636 € IVA compresa Determina+Dirigenziale+2025-600
Totale: 151.321 euro, ovvero oltre il 50% in più del budget previsto, giustificato formalmente dall’aumento dei prezzi dei materiali. Una giustificazione che crolla alla prima analisi tecnica, perché – secondo stime effettuate da esperti indipendenti – i materiali realmente utilizzati, inclusa la posa in opera, non supererebbero i 3.000 euro. Il resto? Probabilmente fumo negli occhi, se non peggio.
La verità dietro l’operazione: il sistema Albergoni
Il vero regista dell’operazione Silent Room è Roberto Albergoni, ex direttore della Fondazione Agrigento 2025 ed estensore del dossier di candidatura. È lui che ha spinto e inserito nel programma progetti cuciti su misura per il proprio entourage: un circuito di artisti, performer e intellettuali palermitani di area progressista, alcuni dei quali già protagonisti della Biennale Manifesta, svoltasi qualche anno fa a Palermo.
Molti di loro ruotano attorno all’associazione Me.no, fondata dallo stesso Albergoni, che nel primo statuto della Fondazione – bocciato sonoramente dal Consorzio Universitario di Agrigento – poteva addirittura ricevere affidamenti diretti.
Il tentativo di blindare il nome di Albergoni come direttore generale della Fondazione è stato respinto con fermezza non solo dal Consorzio, ma anche dal Consiglio Comunale di Agrigento, generando uno stallo istituzionale lungo quasi un anno. Solo quando queste previsioni furono eliminate, lo statuto venne approvato. Ma intanto, i progetti riconducibili alla sua rete erano già dentro.
Poi, incassato il bottino culturale, Albergoni si è dimesso, lasciando il sindaco in balia di una fondazione in mano ad altri.
I nomi che ritornano: Cusumano, Palermo, gli amici
Tra i nomi ricorrenti nel “circolo magico” della cultura imposta spicca quello di Andrea Cusumano, artista, performer, drammaturgo, ex assessore alla Cultura a Palermo. Anche lui figura in numerose iniziative riconducibili all’ambiente che ha partorito The Silent Room.
L’intera impalcatura di Agrigento 2025 sembra una replica mascherata di Manifesta Palermo, riciclata nella città dei Templi con nuove etichette e soldi freschi.
Un appalto “vincolato”, ma un danno fatto
Le determine stabiliscono, almeno sulla carta, che i fondi verranno erogati solo previa rendicontazione delle spese reali. E che, in caso di incongruenze, nulla potrà essere preteso dai beneficiari. Ma il punto non è più questo: il danno – economico, culturale e simbolico – è già stato fatto.
Agrigento è stata spogliata della sua autonomia culturale. Le sue associazioni, artisti e creativi locali sono stati sistematicamente esclusi. Le risorse non sono servite alla città, ma a finanziare vetrine politiche e artistiche decise altrove.
Una stanza per chi ha fallito
La Silent Room, quella vera, quella che doveva essere uno spazio di riflessione, dovrebbe oggi accogliere il sindaco di Agrigento, il Presidente della Regione, i dirigenti della Fondazione e chiunque abbia avuto responsabilità nel fallimento politico, amministrativo e culturale di questa esperienza.
Un fallimento che è sotto gli occhi di tutti: città in ginocchio, cittadini ignorati, fondi sprecati, e una Capitale della Cultura che, a metà del suo cammino, sembra già un’occasione persa.
Il dossier riciclato da Palermo e il caso Me.no: il sacco culturale comincia da qui
Uno dei capitoli più controversi dell’intera operazione “Agrigento Capitale della Cultura 2025” riguarda l’origine stessa dei progetti inseriti nel dossier. Spulciando tra le fonti online e confrontando i contenuti artistici presentati, emerge un dato sconcertante: molti eventi, installazioni e performance non sono altro che la replica di quanto già visto a Palermo durante “Manifesta”, la biennale di arte contemporanea ospitata nel capoluogo siciliano nel 2018. Nomi, format e modalità organizzative ricalcano quel modello, ma con una nuova etichetta e un nuovo finanziamento.
Il filo conduttore? L’associazione Me.no, fondata proprio da Roberto Albergoni, ex direttore della Fondazione Agrigento 2025. Proprio lui, inizialmente previsto nel ruolo di direttore generale della Fondazione, era riuscito a far inserire una clausola nello statuto originario che avrebbe permesso all’associazione Me.no di ottenere affidamenti diretti dalla stessa fondazione. Un’operazione che fu bocciata con decisione dal Consorzio Universitario di Agrigento, grazie anche alla netta opposizione di figure come Mangiacavallo e Di Maida. A quel punto anche il Consiglio Comunale si schierò contro, provocando uno stallo istituzionale durato quasi un anno. Solo quando quelle clausole furono eliminate, lo statuto poté essere approvato.
Ma intanto i progetti legati a quell’entourage erano già dentro, e oggi si raccolgono i frutti amari di quelle scelte. Tra i nomi ricorrenti, anche quello di Andrea Cusumano, artista poliedrico ed ex assessore alla Cultura di Palermo, vicino agli ambienti culturali che orbitano attorno ad Albergoni. È giunto il momento di fare piena luce su questi collegamenti, e verificare quanto della Capitale della Cultura sia realmente frutto di scelte agrigentine e quanto, invece, sia stato semplicemente importato – o peggio, imposto – da Palermo.
Agrigento non si merita tutto questo
Con un Comune silente e subalterno, e una Regione che agisce attraverso fondazioni opache e reti di potere, il sacco culturale di Agrigento continua. Ma la città non dimentica. E Report Sicilia continuerà a raccontare ciò che altri preferiscono nascondere.
Perché Agrigento merita rispetto, merita verità, e soprattutto merita la cultura vera. Non quella imposta.


