Un duro colpo ai patrimoni, ma nessuna misura di prevenzione personale. È questo l’esito clamoroso dell’ultima decisione del Tribunale di Agrigento riguardante il cosiddetto “Gruppo Pelonero”, noto marchio commerciale attivo nel settore della ristorazione, bar e intrattenimento, con locali anche a San Leone.

La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale – presieduta da Wilma Angela Mazzara, con i giudici a latere Chiara Riggi e Paolo Pasi – ha infatti disposto la confisca di quattro società, di diversi conti correnti bancari e rapporti finanziari, ma ha rigettato la richiesta della Procura per l’applicazione della sorveglianza speciale nei confronti dell’imprenditore.

Il paradosso giudiziario: beni confiscati, ma imprenditore “libero”

Il provvedimento colpisce direttamente il patrimonio riconducibile a un imprenditore considerato dalla DDA e dalla Questura come “socialmente pericoloso”, ritenuto vicino a figure della criminalità organizzata operanti nel territorio agrigentino. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto non sufficienti gli elementi per applicare la misura personale, lasciando l’imprenditore al di fuori di qualsiasi restrizione.

Le società coinvolte

Nel mirino del provvedimento giudiziario sono finite quattro società, alcune delle quali operavano con marchi noti nei luoghi della movida agrigentina, soprattutto nel litorale sanleonino. I beni sottoposti a confisca sono:

  • Partecipazioni societarie

  • Rapporti bancari

  • Altri cespiti economici legati al ciclo di fatturazione e gestione d’impresa

Un colpo importante, che tuttavia non chiude il cerchio su eventuali responsabilità personali, lasciando aperti molti interrogativi.

Le reazioni

L’operazione, frutto del lavoro della Direzione Investigativa Antimafia e della Questura di Agrigento, conferma la centralità del controllo economico del territorio da parte delle organizzazioni mafiose, che – anche quando non operano direttamente – spesso si infiltrano nel tessuto imprenditoriale attraverso prestanome o accordi opachi.

Tuttavia, la decisione del Tribunale – che ha “spaccato in due” l’impianto accusatorio – fa emergere ancora una volta il rischio che, in assenza di misure personali, il sistema economico e sociale resti vulnerabile. Un sistema dove è possibile confiscare società, ma non sempre è possibile (o lecito) limitare la libertà dei loro titolari.

Il caso Pelonero rappresenta un precedente giuridico delicato: da un lato il riconoscimento di un impianto economico sospetto, dall’altro l’impossibilità – secondo i giudici – di attribuire con certezza la pericolosità sociale della persona coinvolta.

Una battaglia a metà, che accende i riflettori su un sistema che continua a operare tra le pieghe della legalità apparente.

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