Mentre ad Agrigento l’anno da Capitale italiana della cultura stà passando senza alcun effetto positivo per la città, c’è un’altra realtà che già si prepara a fare il “botto” in senso positivo. Nel 2026 infatti L’Aquila succederà ad Agrigento. Spulciando in internet abbiamo trovato un interessante articolo di Affari Italiani che delinea quanto accade nel centro abruzzese, oggi, ma con lo sguardo ai prossimi mesi. Scrive Affari italiani: “Un traguardo importante, ma soprattutto un volano per una città che ha già iniziato a cambiare passo. I numeri del 2024 parlano chiaro: +18% di arrivi, +14% di presenze, +28% di turisti stranieri. Dopo anni segnati dal sisma e dalla pandemia, il capoluogo abruzzese torna protagonista grazie a un modello di sviluppo che mette al centro la cultura, l’identità e la relazione con il territorio. L’Aquila si è trasformata in un laboratorio di turismo identitario, diffuso e sostenibile, capace di attrarre visitatori in cerca di autenticità. Un modello lontano dalle logiche del turismo mordi e fuggi, che si fonda su una rete di strutture ricettive in espansione — oggi 220 attive in città, con un +14,5% negli alloggi imprenditoriali — e su un ecosistema culturale e territoriale in pieno fermento”. Ad Agrigento, a dispetto dell’anno da capitale, si registra un crollo delle presenze. Si salva, forse, solo la Valle dei Templi con i suoi accessi di milioni di turisti che guardano i templi e se ne vanno. In città resta nulla, tra eventi che non si connettono col territorio e iniziative discutibili dal punto di vista economico. 

Scrive ancora Affari Italiani: “Fa discutere un editoriale dell’Economist: un testo che riconosce la resilienza dell’Aquila, ma che da sinistra è stato interpretato come un attacco alle politiche sulla ricostruzione, portate avanti dal governo di centrodestra e dall’amministrazione guidata da Pierluigi Biondi, sindaco di Fratelli d’Italia alla guida della città dal 2017. È passata più in sordina, invece, la copertura positiva dell’Agence France-Presse, che ha raccontato L’Aquila come un esempio europeo di rigenerazione. In questo percorso di rilancio, la scelta del governo guidato da Giorgia Meloni di conferire all’Aquila il titolo di Capitale Italiana della Cultura per il 2026 assume un significato inequivocabile: non è la celebrazione di un fallimento, ma il riconoscimento di una rinascita in divenire. Se davvero L’Aquila fosse un emblema di incompiutezza istituzionale, non sarebbe stata designata per rappresentare la cultura italiana. Al contrario, la sua nomina sancisce il valore di un’esperienza che, negli ultimi otto anni, appunto, ha trasformato la fragilità in forza, facendo della cultura, accanto alla ricostruzione degli edifici, la leva per riconnettere la comunità e per lo sviluppo di una città media come L’Aquila e dei territori interni che la circondano”. L’esatto opposto di Agrigento. Peccato davvero.  A L’Aquila hanno saputo rinascere dopo un terremoto devastante. Ad Agrigento per fortuna non ci sono stati simili disastri, ma ci hanno pensato gli uomini e donne che l’hanno amministrata e amministrano a fare altri danni. Chiosa finale: ha detto bene il giornalista e autore Giovanni Taglialavoro nei giorni scorsi: “Agrigento in questi mesi da Capitale italiana della cultura è stata usata come un palcoscenico, senza valorizzare al meglio le forze del territorio”. 

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