Laura era una bella bambina, dagli occhi vivaci e dal sorriso aperto. 
Oggi sarebbe una splendida ragazza poco più che ventenne, forse in procinto di realizzare il suo sogno: essere una brava veterinaria e occuparsi degli animali, curando soprattutto i più deboli e sfortunati. 
O, forse, sarebbe ancora in cerca della sua strada, magari viaggiando per il mondo, come fanno tante ragazze. 
Non lo sapremo mai. 
Era il 21 agosto del 2014 quando a San Giovanni La Punta, nel Catanese, la piccola Laura –  per tutti Lalla, Lally, Lallipop o semplicemente Lauretta – è stata uccisa a coltellate da chi, più di ogni altro, avrebbe dovuto tenerle la mano, guidarla nel percorso delle sue aspirazioni e lanciarla con amore verso il futuro: l’uomo che l’aveva generata. 
Chiamarlo padre è difficile, se non impossibile. 
Soprattutto per le figlie femmine, che vivono con il papà la prima, vera storia d’amore della loro vita, il padre è il grande regista dell’esistenza, l’autorevolezza mista a complicità, la fiducia senza confini. 
A Lauretta è toccato invece un uomo senza scrupoli, che l’ha uccisa nel modo più vigliacco possibile: tradendola mortalmente mentre dormiva, credendosi al sicuro. 
Due coltelli da cucina hanno sentenziato una fine crudele e inaccettabile, che avrebbe potuto trasformarsi in una doppia tragedia: se i fratelli Andrea ed Emanuele non fossero intervenuti, sarebbe morta anche Marika, l’inseparabile sorella di quattordici anni che l’anti-padre voleva fare fuori, insieme a Lauretta. 

LA “PUNIZIONE”

Il dramma si è consumato nella casa di San Giovanni La Punta, dove i Russo vivevano. 
Una famiglia numerosa, apparentemente come tante: all’epoca quarantasettenne, Roberto Russo aveva perso il lavoro. 
Viveva facendo il venditore ambulante, ma era difficile sbarcare il lunario con quattro figli da mantenere. 
Come se non bastasse, proprio Lauretta e Marika avevano scoperto, attraverso i social, che il padre tradiva la loro mamma, Giovanna Zizzo
Una donna straordinaria, che ha scelto di perpetuare la memoria della figlia attraverso l’associazione “Laura vive in me”, in prima linea contro la violenza di genere. 
Dopo avere appreso del tradimento del marito, Giovanna decise legittimamente di allontanarsi per riflettere su un rapporto ormai evidentemente logoro, trasferendosi a casa dei genitori, totalmente ignara della vendetta che il mostro aveva premeditato per “punirla”. 
Non bastava averla tradita, occorreva anche infliggerle un castigo.
Dispiace sottolinearlo, ma per qualche tempo Giovanna, vittima di una mentalità arcaica e di un patriarcato tossico ancora duro a morire, era additata dai suoi stessi compaesani come la responsabile morale dell’uccisione di Lauretta, come se non condonare un tradimento a un marito fedifrago fosse una colpa.

Il tutto, non nella Sicilia del latifondo, ma in quella contemporanea degli anni Duemila: una donna restia a riallacciare un rapporto con un coniuge infedele deve pagarne le conseguenze.
“Se tu mi avessi perdonato – disse l’assassino rivolgendosi alla consorte all’epoca dei fatti – non mi avresti portato a fare quello che ho fatto”.
Per lui, la Cassazione ha confermato l’ergastolo definitivo nel luglio del 2019.
Lauretta, morta dissanguata tra le braccia dei suoi fratelli, ha avuto giustizia. 

LA MARCIA SILENZIOSA TRA LE VIE DI SAN GIOVANNI LA PUNTA 

 

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