Una bomba ecologica all’ingresso di Porto Empedocle, ma nessuno interviene per rimuoverla. Da mesi le tonnellate di melma “spalmata” sul riempimento a mare empedoclino, su “gentile” concessione di chi ha dragato il porto di Trapani giacciono, inquinando il terreno e il mare. Cosa fa lo Stato in tutte le sue declinazioni? Lo stesso Stato che aveva ben operato, smascherando una presunta vicenda illecita. Come si ricorderà nell’aprile scorso la Guardia Costiera nell’ambito di una operazione complessa di polizia ambientale denominata “Dirty Mud” ha avviato dal 2024 una mirata attività d’indagine nell’ambito dei lavori di dragaggio dell’avamporto e delle aree a ponente dello sporgente Ronciglio del porto di Trapani. L’indagine era finalizzata ad accertare la regolarità delle attività e delle procedure delle operazioni di dragaggio quali il trasporto dei fanghi, il trattamento, il conferimento e lo smaltimento finale dei rifiuti speciali prodotti. Tali procedure, regolate dalle norme nazionali poste a tutela dell’ambiente marino e costiero e del demanio marittimo, erano rafforzate poi dal contratto di appalto pubblico stipulato con l’Autorità di Sistema portuale della Sicilia Occidentale. Report Sicilia aveva scritto che “il capitolato dei lavori di appalto prevedeva l’installazione sul molo di levante di Porto Empedocle di un impianto mobile di lavaggio dei fanghi sollevati dal fondo, tale procedimento che viene denominato “sediment washing” è dedicato al trattamento dei fanghi che venivano prelevati dal porto di Trapani ed erano provenienti dalle attività di dragaggio. Il contratto di appalto prevedeva anche l’utilizzo di un’area demaniale per lo stoccaggio solo provvisorio dei rifiuti trattati ubicato in località Caos nel Comune di Porto Empedocle”.

Bravissimi a sequestrare, ma la bonifica?

Gli inquirenti ritenevano e ritengono che i fanghi provenienti dall’attività di dragaggio del porto di Trapani, trasportati con due draghe all’interno dell’impianto di sediment washing della Società Capogruppo aggiudicataria dell’appalto, non subivano, se non in minima parte alcun trattamento prima dello stoccaggio, ed il successivo conferimento presso una discarica agrigentina. Da qui il sequestro dell’impianto di lavaggio nonché dell’area di deposito temporaneo dei fanghi di dragaggio sita in località Caos. Il provvedimento ha interessato una superficie complessiva di circa 60.000 mq. di demanio marittimo contente all’interno una ingente quantità di rifiuti speciali. Tutti i soggetti ai quali a vario titolo sono state contestate responsabilità nelle condotte ritenute contra legem, sono stati segnalati alla Autorità Giudiziaria per la commissione del reato di frode nell’esecuzione di contratto di appalto di lavori pubblici con l’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale, per l’importo dei lavori affidati di 59.054.484.18 euro.  Si attendono gli sviluppi giudiziari per avere un quadro più chiaro di questa puzzolente vicenda, auspicando il dissequestro o almeno qualche intervento per limitare i danni, in vista della definitiva bonifica. Anche perchè con le piogge dei prossimi mesi, il materiale sedimentatosi con il caldo estivo tornerà allo stato fangoso, con tutto quello che ne consegue in termini di liquidi rilasciati sul terreno e in mare. Dov’è l’Asp? Dove sono le associazioni ambientaliste, sempre molto attente all’estinzione del topo quercino o alla schiusa delle tartarughe sulle spiagge? Su questa vicenda dei fanghi si registra un silenzio e un disinteresse devastanti. La salute degli empedoclini è da decenni stuprata, da scellerate scelte industriali e post industriali, con una incidenza di patologie cancerose ai vertici nazionali, dove chiunque da sempre si permette di invadere il territorio, scaricandovi perfino la melma dei fondali del proprio porto. La narcosi nella quale giace la popolazione empedoclina, non giustifica il considerare Porto Empedocle terra di nessuno. 

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