AGRIGENTO – L’avvocato Salvatore Pennica ha presentato il 17 settembre 2025 una querela ai Carabinieri di Agrigento in relazione a un episodio avvenuto la stessa mattina alla Casa circondariale “Sovr. Pasquale Di Lorenzo” di Contrada Petrusa.
Nel verbale si contesta che non il personale di Polizia penitenziaria, bensì il direttore dell’istituto, avrebbe negato l’accesso alla struttura al praticante avvocato che accompagnava Pennica per attività difensiva.

La sequenza dei fatti (da verbale)

  • Ore 12:30 circa. Pennica si presenta al varco d’ingresso insieme al dott. Giacomo Montana Lampo.

  • Ore 12:35. Avvengono le identificazioni. Pennica segnala la necessità che il praticante lo assista.

  • Segue un’interlocuzione con gli addetti al varco e con l’Ispettore G.D. della Polizia penitenziaria, nel corso della quale – si legge – viene richiamata la normativa di attuazione del c.p.p. sul diritto del difensore (e del praticante abilitato) ad accedere, salvo specifici motivi ostativi.

  • L’ispettore – sempre secondo il verbale – concorda sulla legittimità della richiesta e si reca personalmente dal direttore per acquisire un riscontro.

  • La risposta del direttore sarebbe stata negativa: accesso non consentito al praticante.

  • Ore 13:03. Pennica contatta la Centrale operativa dei Carabinieri e poi si reca in caserma per sporgere querela.

I reati ipotizzati

Nel modello di denuncia si indicano le ipotesi di violenza privata, abuso d’ufficio e omissione o rifiuto di atti d’ufficio. Il legale chiede di essere informato di ogni eventuale richiesta di archiviazione (art. 408, comma 2 c.p.p.) e fa menzione delle informative alla persona offesa ai sensi dell’art. 90-bis c.p.p.

Il punto dirimente

Il cuore della contestazione non riguarda quindi un diniego “di routine” all’ingresso del difensore, bensì il divieto opposto dal direttore all’ingresso del praticante avvocato al seguito, malgrado – afferma Pennica – le norme di attuazione del codice di procedura penale e la prassi giudiziaria consentano il supporto del praticante nello svolgimento dell’attività difensiva, salvo specifiche e motivate esigenze di sicurezza.

Il post sui social

L’avvocato ha poi affidato ai social un duro commento:

“Oggi il direttore della casa circondariale di Agrigento ha negato l’accesso nell’aula del carcere ove era in corso una videoconferenza ad un praticante legale senza motivare il diniego. Nonostante sia stato fatto notare il contenuto dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p. che garantisce la difesa e quindi l’accesso, il pubblico ufficiale ha ritenuto di violare la legge.
Ciò è accaduto ad Agrigento, dove i diritti diventano optional interpretativi e i difensori categoria da bistrattare. (…) Immagino cosa accade ai detenuti quando chi dovrebbe essere a presidio e tutela della legge la ignora e si sottrae al confronto de iure. Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Agrigento, se ci sei esprimiti”.

Una vicenda che interpella l’Avvocatura

Il caso solleva interrogativi pesanti non solo sulla condotta del direttore, ma anche sul ruolo delle istituzioni forensi. Pennica ha infatti chiamato direttamente in causa il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Agrigento, invitandolo a prendere posizione di fronte a un episodio che mette in discussione il diritto di difesa e la stessa dignità della professione.

La magistratura dovrà ora stabilire se il diniego opposto dal direttore sia stato illegittimo e penalmente rilevante, o se vi fossero effettivi motivi ostativi che possano giustificarlo.

Perché la vicenda è rilevante

Il caso riapre il tema, più volte emerso anche ad Agrigento, dell’equilibrio tra esigenze di sicurezza interna e garanzie del diritto di difesa. Se confermate, le condotte contestate potrebbero avere ricadute disciplinari e penali e incidere sui rapporti tra Avvocatura e amministrazione penitenziaria.

La parola passa ora alla magistratura, che dovrà valutare gli atti e verificare se sussistano gli estremi dei reati ipotizzati o se il diniego del direttore sia stato legittimo e adeguatamente motivato.

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