Proseguiranno i lavori per la realizzazione del pozzo Monnafarina a Santo Stefano Quisquina. Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha infatti respinto la richiesta cautelare del Comune, accogliendo le difese dell’Assemblea Territoriale Idrica (ATO 9) e dell’AICA, rappresentate dall’avvocato Girolamo Rubino.
La decisione consente di portare avanti un progetto inserito tra le opere d’emergenza dell’Ordinanza del Capo della Protezione Civile per contrastare la siccità in Sicilia.

Ma la sentenza apre anche nuove ferite politiche e territoriali. A distanza di oltre un anno dalle prime denunce, il sindaco Francesco Cacciatore e la cittadinanza stefanese restano contrari a quella che definiscono “una misura pericolosa e miope”, mentre la Consulta degli Utenti, che aveva lanciato l’allarme già nel luglio 2024, è oggi tagliata fuori dalla gestione e dal confronto istituzionale da parte dell’attuale Presidente di AICA.


Santo Stefano Quisquina: “Così si distrugge il nostro bacino imbrifero”

Come Report Sicilia aveva già documentato il 16 luglio 2024, il Comune di Santo Stefano Quisquina aveva chiesto la revoca dei provvedimenti per nuovi emungimenti, sostenendo che il progetto Monnafarina e la riattivazione dei pozzi Margimuto “avranno come unico effetto quello di abbassare ulteriormente il livello della falda del bacino, provocando un danno irreversibile a fronte di un beneficio temporaneo”.

Il sindaco Cacciatore denunciava una “politica dell’acqua sconsiderata”, che ignora studi e dati scientifici sull’interconnessione tra il bacino della Quisquina e la sorgente Capo Favara, ormai in progressivo esaurimento.

“Non è un atto di egoismo, ma un atto di tutela. – ribadiva il sindaco – Noi forniamo ogni giorno fino a 600 litri al secondo d’acqua all’intera provincia. Difendere il nostro acquifero significa garantire il futuro di tutti.”


La lettera della Consulta del luglio 2024: “Emergenza idrica fuori controllo, fallite tutte le misure di AICA e ATI”

Nel luglio 2024, la Consulta degli Utenti del Servizio Idrico Integrato, composta da associazioni come Agrigento Punto e a Capo, Titano, A Testa Alta, Centro Studi De Gasperi, Codacons, Comitato Cantavenera, Ethikos Aps e Konsumer, aveva inviato una durissima lettera alle istituzioni regionali e nazionali.

In quella nota, che oggi appare profetica, la Consulta denunciava l’assenza di risultati concreti nonostante le “cabine di regia” istituite a Palermo e ad Agrigento:

“Non vi è una significativa riduzione dell’emergenza idrica. I turni di erogazione vanno dai 15 ai 20 giorni e tendono ad allungarsi. Il sistema delle autobotti, così come riformato e gestito da AICA, ha addirittura peggiorato il servizio, alimentando potenziali circuiti sommersi e illegali.”

La Consulta ricordava che il DPCM del 6 maggio 2024 e l’Ordinanza della Protezione Civile n.1084 del 19 maggio 2024 imponevano interventi immediati e straordinari, ma che tali misure non erano mai state applicate.
L’appello alle autorità era chiaro:

“Ogni ulteriore indugio equivale a spingere i cittadini verso gesti sconsiderati di disordine sociale. Il livello del servizio non è degno di un Paese civile, europeo e occidentale.”


Accuse pesanti: debiti, irregolarità contabili e gestione opaca

Nel documento di luglio 2024 la Consulta indicava con precisione le responsabilità politiche e amministrative di AICA e ATI, chiedendo persino la valutazione dei poteri sostitutivi ex art. 172 del D.lgs. 152/2006 e la decadenza dei sindaci inadempienti.
Tra le irregolarità segnalate:

  • mancata redazione del piano degli interventi e del piano di emergenza idrica previsti dallo Statuto ATI;

  • concessione illegittima di gestioni in salvaguardia a 8 Comuni, tra cui Santo Stefano Quisquina;

  • debiti milionari del Consorzio Voltano (2,5 mln €) e del Consorzio Tre Sorgenti (oltre 7,5 mln €) verso AICA e Siciliacque;

  • mancati versamenti di circa 9 milioni di euro da parte dei Comuni soci di AICA;

  • irregolarità contabili su circa 4 milioni di euro annui di costi tariffari caricati agli utenti ma non effettivamente spesi per manutenzioni e investimenti.

“Le opere non sono state effettuate, l’acqua si disperde e i cittadini pagano il doppio – denunciava la Consulta –. È necessario un intervento straordinario dello Stato per restituire dignità e trasparenza alla gestione idrica.”


Un sistema al collasso e la democrazia idrica cancellata

Oggi, a distanza di oltre un anno da quell’allarme, la situazione non solo non è migliorata, ma si è aggravata.
La Presidente di AICA ha deciso di sciogliere la Consulta, escludendo di fatto le associazioni che avevano svolto un ruolo di controllo civico, trasformando l’azienda in un fortino mediatico dove le conferenze stampa hanno preso il posto dei confronti istituzionali.

Mentre le sentenze autorizzano nuovi pozzi, le autobotti restano insufficienti, i turni di distribuzione si allungano e le perdite di rete superano il 50%.
Il territorio della Quisquina, da cui parte buona parte dell’acqua dell’Agrigentino, si sente oggi saccheggiato e ignorato, con il rischio concreto che la soluzione tecnica al problema idrico si trasformi in una nuova emergenza ambientale.


Conclusione: il paradosso dell’acqua e del potere

La sentenza del Tribunale sul pozzo Monnafarina rappresenta una vittoria formale per AICA, ma una sconfitta politica per la trasparenza e la concertazione.
Santo Stefano Quisquina continua a difendere il proprio bacino, mentre le associazioni escluse chiedono che venga ripristinata la Consulta degli Utenti e che la gestione dell’acqua torni a essere pubblica, partecipata e responsabile.

“Senza confronto e senza ascolto – commentano alcune associazioni – nessuna emergenza potrà mai essere risolta. L’acqua non è un privilegio, è un diritto. E oggi, in Sicilia, quel diritto è negato.”

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