auto costantino ciulla

Cinque anni fa Agrigento sembrava pronta a cambiare volto. Si parlava di “trasparenza”, “rinascita”, “partecipazione”. Oggi, invece, ci ritroviamo a fare i conti con una città che ha perso fiducia, dignità e sicurezza.
L’incendio delle auto dell’ex assessore Costantino Ciulla, dirigente di Fratelli d’Italia, è solo l’ennesimo capitolo di una deriva annunciata. Due auto – una BMW X3 e una Peugeot 206 – ridotte in cenere nella notte, davanti agli occhi impotenti di un quartiere, Villaseta, che da anni rappresenta il termometro sociale di una città spaccata e abbandonata.

Non è un episodio isolato. È il simbolo di un clima d’odio e di vendetta che si respira da tempo, alimentato da un’amministrazione che ha scelto scientemente di dividere, di seminare sospetto, di lasciare mano libera a chi si muove nell’ombra.

Tutto è cominciato con il caso dei SUV acquistati con fondi destinati alla solidarietà sociale, mezzi mai realmente utilizzati per i disabili o per i servizi alla persona, come era stato promesso. Poi, via via, il quadro si è fatto sempre più torbido: arresti eccellenti, inchieste giudiziarie, consulenti del sindaco collusi con ambienti mafiosi e persino una lettera straziante di una dipendente comunale, la signora Narbone, che denunciava abusi, pressioni e una gestione clientelare degli uffici pubblici.

Ogni tassello, da solo, poteva sembrare un incidente di percorso. Ma messi insieme formano l’immagine perfetta di un sistema malato, dove chi amministra ha scelto di non amministrare, ma di proteggere sé stesso e chi gli ruota intorno.

E mentre si celebrano eventi e si distribuiscono incarichi, cresce un senso di impunità che travolge tutto: le regole, la legalità, la sicurezza, la convivenza civile.
Il messaggio che passa è chiaro: ognuno può fare ciò che vuole, purché serva al potere. E chi non si piega, viene isolato o colpito.

Gli arresti e la condanna del capo di gabinetto del sindaco nonché capo della Polizia Locale e del Distretto d1(che troppo spesso ultimamente viene visto anche in compagnia del deputato di riferimento tra le vie di agrigento ed anche in piazza Pirandello), le inchieste sui consulenti con rapporti mafiosi, le minacce alla dipendente comunale che ha avuto il coraggio di denunciare, fino ad arrivare oggi al rogo delle auto di Ciulla, compongono il mosaico di una città tornata indietro di quarant’anni, quando Agrigento viveva nell’ombra di un potere opaco e impunito.

Oggi la paura è tornata nelle strade, nei palazzi, nei bar, nei corridoi del Comune. Ma la paura, da sola, non basta a spiegare tutto.
Questo clima ostile non è casuale: è voluto, costruito, alimentato da chi governa una città che avrebbe meritato risposte, non vendette.

Chi amministra ha dato il via libera a tutto e a tutti, sacrificando la legalità sull’altare della convenienza politica.

E in mezzo a tutto questo, c’è anche chi, tra la stampa e tra gli addetti ai lavori, semina odio e tenta di delegittimare il nostro operato, quello mio personale e quello di Report Sicilia.
Mi hanno accusato di parlare troppo spesso di mafia e di massoneria deviata.
E allora vi chiedo: questo modo di vivere, come lo chiamate?
Come lo volete definire quello che sta accadendo ad Agrigento da oltre dieci anni, e in modo ancora più inquietante in questo ultimo quinquennio?

Vogliamo cominciare a indagare a chi sono finiti tutti i lavori pubblici del Comune, quelli finanziati con il PNRR, per oltre 100 milioni di euro?
Vogliamo vedere con quale metodo sono stati assegnati?
O vogliamo continuare a voltare lo sguardo dall’altra parte, a fingere che vada tutto bene, mentre la città affonda nella corruzione morale e nella paura civile?

Volete continuare a delegittimare il mio operato?
Sappiate che io non mi fermo.
Che Report Sicilia non si ferma.
Perché la verità, prima o poi, emerge sempre.

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