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Dario è un giovane agrigentino ferito.

E il modo ancor m’offende”, scriverebbe Dante Alighieri.

Come tanti, anche lui pensava che, in occasione dell’anno in cui Agrigento è Capitale della Cultura, chi, nella Città dei Templi, da anni è protagonista di attività culturali importanti e qualificate, sarebbe stato valorizzato dagli organizzatori degli eventi.

Dario Indelicato è figlio di Salvatore Indelicato, apprezzato uomo di cultura da chi sa cosa sia la Cultura: eccellente scrittore, fotografo dal raffinato senso estetico. E potremmo ancora a lungo dedicare righe al suo curriculum.

Che molti operatori culturali e molte associazioni lamentino di non essere stati presi in considerazione da chi avrebbe dovuto fin dall’inizio ascoltarli e sostenerli (era nato anche un Osservatorio che aveva pubblicamente denunciato tale questione), è cosa nota.

Ma oggi Dario, dalla sua pagina Facebook, ci rivela qualcosa di diverso: un lavoro culturale di suo padre, dal quale ha tratto importanti spunti Efi Spyrou, artista greca che ha allestito un’esposizione ad Agrigento nell’ambito delle manifestazioni di Agrigento Capitale della Cultura, non ha avuto il meritato riconoscimento. E tutta la vicenda ha avuto risvolti tali da indignarlo.

Dario racconta così:

«…non posso tacere su una cosa che mi riguarda direttamente…
Efi Spyrou è un’artista greca. La sua esposizione ad Agrigento fa parte delle iniziative di Capitale della Cultura, una delle tante (in senso lato) di cui non si sa e non si è saputo niente.
Perché, anche questo va detto, al netto del lavoro fatto dal Parco, unico Ente in grado di dare risposte, la faccenda Capitale della Cultura si è mostrata per quello che realmente è, cioè qualcosa che rasenta lo zero.
Nel caso specifico, il punto non è certamente la consistenza dell’artista, ci mancherebbe, quanto il fatto che Efi stessa abbia basato il suo lavoro ad Agrigento su uno dei libri di mio padre, Salvatore Indelicato, persona troppo mite ed educata per scrivere un post come questo.»

Continua:

«Pare che un giorno Efi sia venuta ad Agrigento per fare un sopralluogo, abbia acquistato il libro di poesie scritto da mio padre (editore Medinova) e ne sia rimasta piacevolmente colpita. Al punto da utilizzarne dei passi per l’esposizione.
Ora, non ne faccio una questione politica o di diritto d’autore (e potrei farlo mettendo con piacere in difficoltà qualcuno), ma di pura e semplice educazione.
La stessa artista, contattata da noi direttamente, è rimasta sbalordita dal fatto che l’autore e l’editore delle poesie non siano stati nemmeno informati della mostra.
Mi aspetto che qualcuno di questi luminari che tagliano nastri e si pavoneggiano ad ogni occasione, anche quelle con le sale vuote, abbia almeno la decenza di porgere delle scuse a mio padre.
Ripeto, solo per educazione. Niente di più.»

Una vicenda che mortifica il mondo culturale agrigentino, soprattutto quegli intellettuali che non si sono venduti per un piatto di lenticchie.

Molti operatori culturali locali pensavano che il 2025 sarebbe stato davvero l’anno in cui i più validi, capaci e meritevoli agrigentini — che da decenni, spesso gratuitamente, e comunque con grandi sacrifici, si dedicano a garantire nella Città dei Templi una intensa vita culturale — avrebbero finalmente avuto lo spazio che meritano.

Ma non il merito conta, in certe stanze.

E non conta neppure quando una artista straniera scopre un libro di un agrigentino e pensa, ingenuamente, che valorizzandolo, qualcuno si sarebbe preoccupato di farlo sapere all’autore e all’editore, invitandoli e complimentandosi doverosamente.

Non è così.

Cosa conti, invece, in certi ambienti, anche solo per ricevere un invito che ti spetterebbe per naturale riconoscimento, l’abbiamo capito tutti.

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