La crisi dell’AICA e l’inerzia degli enti locali
L’incontro tenutosi ad Agrigento l’11 novembre 2025, promosso dal Consiglio di Amministrazione dell’AICA, ha messo a nudo l’impasse politica e istituzionale che paralizza la gestione del servizio idrico in provincia. Nonostante la partecipazione di numerosi sindaci, deputati regionali e rappresentanti delle forze sociali, non si è giunti a soluzioni operative concrete. Una riunione che ha mostrato il volto di un territorio afflitto da inerzia amministrativa e divisioni, mentre la crisi della società pubblica AICA si aggrava giorno dopo giorno.
Salvare la società pubblica
Il Cartello Sociale di Agrigento, realtà composta dall’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro insieme a CGIL, CISL e UIL, ha preso posizione in maniera netta. Durante l’incontro, ha rinnovato il proprio appello ai sindaci dei comuni soci: l’unico modo per salvare AICA è iniziare a rispettare gli impegni economici assunti. Pagare le quote dovute per il servizio idrico è un atto di responsabilità, non un’opzione. Eppure, molti comuni continuano a non farlo, contribuendo così al collasso di un sistema che, almeno sulla carta, dovrebbe essere pubblico, equo e sostenibile.
Sindaci divisi tra rassegnazione e inazione
La realtà, tuttavia, è che molti amministratori locali sembrano avere gettato la spugna. Alcuni sindaci, pur presenti all’incontro, hanno mostrato una sostanziale rassegnazione, segnalando l’impossibilità di ricevere sostegno dalla Regione Siciliana se prima non si mettono in regola i conti dei comuni. In particolare, il sindaco di Favara ha dichiarato apertamente che senza il saldo delle fatture pregresse, parlare di aiuti regionali è una chimera. La questione è nota: senza flussi di cassa costanti, AICA non può funzionare, e senza una società funzionante, il servizio idrico rischia di tornare nelle mani dei privati o di precipitare nel caos.
L’appello di Racalmuto: non c’è tempo per l’immobilismo
Tra le poche voci fuori dal coro, si è distinto l’intervento del sindaco di Racalmuto, Calogero Bongiorno, che ha sollecitato con decisione una presa di posizione collettiva. La proposta è chiara: organizzare una mobilitazione condivisa, anche a livello regionale, per difendere la gestione pubblica dell’acqua e la sopravvivenza di AICA. La sua è stata un’esortazione al coraggio politico, rivolta non solo agli altri sindaci, ma anche alle forze sociali e ai rappresentanti istituzionali. Non si può più attendere: il tempo dell’analisi è finito, quello dell’azione è già in ritardo.
I deputati agrigentini, presenti all’incontro, hanno manifestato generiche disponibilità a sostenere la causa dell’AICA. Ma nei fatti, nessuna proposta concreta è emersa. Si sono limitati a rimarcare il proprio ruolo all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana o del Parlamento nazionale, senza offrire strumenti normativi, risorse straordinarie o piani di emergenza. Si tratta di un atteggiamento che, nel contesto attuale, suona come un’ammissione implicita di impotenza o, peggio, di disinteresse.
La posizione del Cartello Sociale: non basta più ascoltare
Il Cartello Sociale ha richiamato tutti gli attori istituzionali alla coerenza. Le dichiarazioni di sostegno non bastano più. Servono azioni politiche forti: deliberazioni consiliari, mozioni, iniziative pubbliche, e soprattutto scelte amministrative che rispettino la legge e il principio di responsabilità collettiva. La sopravvivenza di AICA non è solo un problema tecnico: è una questione che tocca la dignità dei cittadini, la fiducia nelle istituzioni e l’identità del territorio.
Il nodo Siciliacque: un contenzioso dai contorni inquietanti
A gettare altra benzina sul fuoco, arriva la richiesta formale di Siciliacque, società mista che gestisce parte del servizio idrico in provincia dal 2004, di riscuotere da AICA una somma complessiva di 27 milioni di euro, tra capitale, interessi e spese legali.
La domanda sorge spontanea: a chi giova il fallimento di AICA?
La dignità dei cittadini agrigentini passa da qui
La crisi dell’AICA non è solo un problema gestionale: è lo specchio delle contraddizioni di un’intera classe dirigente. È il termometro della distanza tra istituzioni e cittadini. Se salta il servizio idrico, salta l’idea stessa di un’amministrazione pubblica al servizio del bene comune. Chi paga le bollette con regolarità, magari con sacrifici enormi, ha diritto a una gestione efficiente, onesta e solidale. Salvare la società pubblica non è un atto simbolico: è un’urgenza morale.

