Agrigento è Capitale Italiana della Cultura 2025. Un riconoscimento che avrebbe dovuto significare, nelle intenzioni, valorizzazione del patrimonio storico, archeologico e identitario della città e della sua provincia. Invece, sotto i riflettori finiscono due installazioni artistiche che – oltre a sembrare poco legate ad Agrigento – hanno un costo che sfiora i 71 mila euro, a carico della collettività.
Due opere sì, una cancellata
Il progetto originario prevedeva tre installazioni firmate dall’artista Edoardo Malagigi:
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End Game: un Pinocchio alto cinque metri, costruito in plastica riciclata, manifesto antimilitarista.
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Tempio di Tetrapak: tre colonne in cartone riciclato che richiamano il Tempio della Concordia.
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Siamo Tutti Migranti: una sfera di tre metri fatta con legni provenienti da barche dei migranti.
Quest’ultima, però, è stata cancellata. Restano le prime due, con un costo complessivo di 70.954 euro IVA compresaDetermina+Dirigenziale+2025-626. Inizialmente il budget per le tre opere era di quasi 79 mila euro.
Le opere saranno collocate in Piazza Municipio e in Piazza Stazione.
Chissà perché nessuno parla dei costi
E qui arriva la domanda che, a parte noi, nessuno sembra voler sollevare: perché si continuano a spendere soldi per pubblicizzare installazioni artistiche che nulla hanno a che fare con Agrigento, invece di valorizzare davvero ciò che Agrigento è?
Non è questione di essere contro l’arte contemporanea o i messaggi sociali. Ma con quali criteri si decide di investire decine di migliaia di euro in opere-manifesto “calate dall’alto”, mentre restano senza fondi interventi concreti su monumenti, quartieri storici, musei, biblioteche e spazi urbani in abbandono?
Chi c’è dietro l’organizzazione
Dietro la macchina di Agrigento Capitale della Cultura ci sono:
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la Fondazione Agrigento 2025, presieduta dall’ex prefetto Maria Teresa Cucinotta, con direttore generale Giuseppe Parello;
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il Comune di Agrigento, con il sindaco Francesco Miccichè e gli assessori di riferimento;
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la Regione Siciliana, che cofinanzia e sostiene l’iniziativa;
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una cabina di regia coordinata dalla Prefettura, che dovrebbe garantire il raccordo tra i vari enti.
Sulla carta, quindi, la governance è locale. Nei fatti, però, la Fondazione di partecipazione non è mai decollata: pochissimi soggetti hanno aderito, la provincia è rimasta ai margini, e le decisioni sembrano prese in cerchie ristrette, senza reale confronto con cittadini e associazioni.
Agrigento o “non Agrigento”?
Il rischio è evidente: si stanno moltiplicando eventi e opere che hanno valore simbolico o artistico, ma che non raccontano Agrigento, non ne promuovono davvero le radici, la storia, i quartieri, i paesi della provincia che fanno parte del titolo 2025.
Un Pinocchio antimilitarista e un tempio di Tetrapak possono incuriosire per qualche giorno, ma quanto restano nella memoria dei turisti? Quanto valorizzano la città nel lungo periodo? Quanto portano sviluppo al territorio?
La riflessione
Agrigento non è un “palcoscenico a noleggio”. Il titolo di Capitale Italiana della Cultura 2025 appartiene alla città e alla provincia, non a una fondazione o a un ristretto gruppo di decisori.
Per questo è lecito – e doveroso – chiedere:
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Perché nessuno parla dei costi reali e delle priorità?
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Perché continuare a spendere per eventi e installazioni che non raccontano l’identità locale?
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Chi decide cosa è “cultura” per Agrigento? E con quali criteri?
Domande semplici, ma che attendono risposte chiare.

