portineria di comunità

Ad Agrigento si festeggia l’apertura della “Portineria di Comunità”, inserita tra i 44 progetti del dossier Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025.
Viene descritta come un luogo di incontro, partecipazione e ascolto.
Ma basta leggere il grande banner esposto all’ingresso dell’INFO Point di Porta di Ponte per capire di cosa si tratta realmente:

👉 SPID, cambio del medico, ricerca di idraulici ed elettricisti, redazione di curriculum, gruppi di lettura e web radio.

E allora la domanda è inevitabile: ma non esistono già i centri di ascolto e i patronati che fanno esattamente le stesse cose, spesso con maggiore competenza e senza contributi straordinari da 80.000 euro?
Di cosa stiamo parlando realmente?


Un patronato travestito da progetto culturale

La verità è semplice: non è stato inaugurato un presidio culturale, ma un patronato multiservizi, travestito da iniziativa comunitaria.
Un progetto finanziato con fondi pubblici, che a detta dei promotori “resterà alla città anche dopo il 2025”.
Bene, ma con quali fondi? Chi garantirà la continuità?
E soprattutto, quando si parla di “convenzioni”, tra chi e con chi verranno stipulate?

Il progetto, ci dicono, è iniziato a marzo.
Dopo sette mesi di “lavoro oscuro”, il risultato è una vetrina di servizi burocratici che nulla hanno a che fare con la Cultura — con la “C” maiuscola — e ancora meno con il “fuoco” di Agrigento 2025, che avrebbe dovuto rappresentare la rinascita culturale della città.


Che c’entra con la Capitale della Cultura?

Si parla di “welfare di prossimità”, ma questo non è un modello culturale.
È, semmai, un esperimento amministrativo, una duplicazione di ciò che già esiste, pagata con fondi che avrebbero potuto finanziare iniziative ben più coerenti con lo spirito di Agrigento Capitale della Cultura.

Con 80.000 euro si sarebbero potuti finanziare laboratori nei quartieri, progetti artistici e sociali, attività per coinvolgere i giovani, o azioni di rigenerazione culturale nei luoghi dimenticati della città.
Invece, si è scelta la via più facile: aprire un “ufficio” dentro l’INFO Point comunale e chiamarlo Portineria di comunità.


E se l’INFO Point non ci fosse stato?

Se l’INFO Point non fosse stato disponibile, dove sarebbe nata la Portineria?
Era previsto l’affitto di un locale?
E soprattutto, come sono stati spesi concretamente gli 80.000 euro di finanziamento?
Domande legittime, che al momento non trovano risposta.


I quartieri restano fuori

Si parla di “partecipazione” e “co-progettazione”, ma in che modo sono stati coinvolti i quartieri?
C’è una programmazione condivisa con i residenti, una pianificazione che parta dai bisogni reali delle persone?
Al momento, nulla di tutto questo: nessun calendario, nessun incontro, nessuna attività decentrata.

Agrigento aveva bisogno di diventare Capitale della Cultura per riscoprire l’ascolto?
O, più semplicemente, per spendere altri fondi pubblici in un progetto che, tolta la patina culturale, non è altro che un patronato in centro città?

Agrigento aveva e ha bisogno di luoghi veri di confronto, non di uffici mascherati da esperienze culturali.
Se la “Portineria di Comunità” vuole davvero essere un punto di incontro e di ascolto, lo dimostri nei fatti:
nei quartieri, tra la gente, nei luoghi dove la cultura non arriva mai.

Fino ad allora, resterà solo l’ennesima insegna costosa di un progetto senza anima, buona per riempire un’altra pagina del dossier di Agrigento 2025.

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