AGRIGENTO – Mentre i cittadini continuano a vivere tra turnazioni massacranti, bidoni d’acqua in balcone e autobotti che riforniscono i quartieri, AICA ha presentato ai sindaci una proposta che lascia increduli: imbottigliare l’acqua pubblica e venderla con un marchio dedicato, così da portare “guadagni extra” alla società e, in prospettiva, ridurre le bollette degli utenti.
Il progetto, corredato da business plan e persino da una bozza di etichetta, prevede la creazione di una linea produttiva destinata a bar, ristoranti e strutture ricettive. In teoria, si tratterebbe di trasformare l’acqua distribuita dalla rete cittadina in una sorta di “minerale” da banco, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare i bilanci della società consortile.
Ma la realtà quotidiana racconta tutt’altro. In molti comuni dell’agrigentino i rubinetti restano a secco per giorni, le famiglie sono costrette a ricorrere a costose autobotti e l’acqua viene conservata in bidoni, in condizioni spesso precarie. In questo contesto, parlare di imbottigliamento appare come un insulto a chi vive sulla propria pelle il dramma idrico.
Siamo al paradosso: acqua che manca nelle case ma che si immagina già etichettata e venduta in bottiglia. Dopo l’acqua a turno, l’acqua nei bidoni e l’acqua delle autobotti, adesso tocca alla nuova frontiera del business: l’acqua in bottiglia “made in AICA”.
E viene spontaneo chiedersi: cosa ci aspetta domani? Che i cittadini debbano pagare persino per l’acqua che scende dal cielo?
Un’idea che, più che una soluzione, sa di follia pura in una provincia che non ha ancora risolto il problema più elementare: garantire l’acqua regolare e continua a tutti gli utenti.

