Mentre Milano piange la morte di una donna di 71 anni uccisa da un’auto sulla quale viaggiavano solo 4 bambini rom al di sotto dei 13 anni, si ripropone il tema scottante della convivenza tra comunità rom appunto e indigeni. Ad Agrigento il tema non è affatto marginale. I nomadi ad Agrigento sono stati per anni una difficile realtà. Nomadi per modo di dire però, perchè nella città dei Templi misero proprio radici. Si parla di cronaca nera, nerissima. La città dei Templi a cavallo tra gli anni 90 e 2000 fu la location scelta da decine di rom di origine slava, stanziatisi in contrada Gasena. Una landa di terra desolata, nei pressi della quale la mafia uccise il giudice Rosario Livatino. Un lembo di campagna abbandonata da tutti, dove intere famiglie misero radici e baracche, approvvigionandosi in maniera a dir poco avventurosa di energia elettrica e acqua. Uomini dalla fedina penale lunga come il possibile ponte di Messina, donne ingravidate ogni nove mesi, bambini di ogni età quasi mai inseriti nel tessuto sociale, dediti alle ruberie in età da gioco. Un contesto devastante, dove il degrado morale e urbano era di casa, dove solo alcuni volontari vicini alla Chiesa agrigentina si impegnarono per dare a quella gente un briciolo di dignità. Pippo Magro oggi è un diacono e fu uno dei pochi, se non l’unico a interessarsi alla comunità rom di Gasena, spesso osteggiato dalle amministrazioni del tempo. Del resto dalla baraccopoli non partivano segnali entusiasmanti in materia di integrazione.

La svolta dopo una drammatica vicenda …

La goccia che fece traboccare il vaso fu tra il 2005 e il 2010 anno quest’ultimo al termine del quale Cassazione ha rigettato i ricorsi sulle condanne al carcere a vita, emesse per i componenti della banda di slavi che nel 2005 fecero irruzione a scopo di rapina nella casa dell’imprenditore Pancrazio Muscolino, uccidendolo. Diventarono quindi definitive le condanne per i malviventi che, partendo dal campo nomadi di contrada Gasena, finirono armi in pugno a Giardini, dove minacciarono figlio e padre perché aprissero la cassaforte. Alla reazione di Pancrazio Muscolino, uccisero lui e ferirono il figlio, per poi dileguarsi. Alla notizia dell’assalto andato male, il campo nomadi di Agrigento si svuotò. Tutti via, anche quello che erano in città da anni, estranei al delitto. Mentre la banda fuggiva verso il Nord Italia, braccata dalle forze dell’ordine che conclusero la poderosa caccia all’uomo con numerosi arresti tra Reggio Calabria e la Campania. La città venne invasa da cronisti di tutta Italia per documentare lo scandalo alle porte della Valle dei Templi. Il sindaco dell’epoca Aldo Piazza si adoperò per fare smantellare quello scempio della società, dove il degrado era diventato la norma. Oggi quell’area è chiusa, non ci sono baracche. Rom stanziali in condizioni indecenti non se ne vedono, vivono in case, le donne vengono mandate in strada a chiedere l’elemosina con i figli al seguito. La vergogna di Gasena rimane sul libro di storia di Agrigento, una pagina triste che si spera mai più possa ripetersi. 

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