Il GIP di Agrigento si è dichiarato territorialmente incompetente sull’inchiesta “Appalti e mazzette” che ha travolto pezzi della politica e dell’imprenditoria licatese. La decisione, di natura puramente procedurale, comporta il trasferimento degli atti al Tribunale di Palermo, sede ritenuta più corretta per competenza.

Ma se qualcuno canta vittoria, confondendo i cittadini con toni trionfalistici, è bene chiarire una cosa: l’inchiesta non è finita, non è stata archiviata, e nessuno è stato scagionato. Anzi.


Cosa comporta davvero l’incompetenza territoriale

Quando un giudice si dichiara incompetente per territorio:

  • Gli atti passano al giudice competente (in questo caso Palermo);

  • Le misure cautelari non decadono immediatamente, ma devono essere rinnovate entro 20 giorni;

  • Il procedimento non ricomincia da capo, ma prosegue senza interruzione, con tutto il materiale investigativo già acquisito;

  • Non è un vizio delle indagini, ma un semplice “ri-allineamento” previsto dal codice.


Ma il punto non è il tribunale. È la sostanza.

Il vero centro della vicenda non è il cambio di foro. È quello che esce fuori dalle carte, dalle intercettazioni, dai verbali, dalle testimonianze.

Uno spaccato brutale di una politica che, anziché servire i cittadini, piega gli appalti al consenso elettorale e agli affari personali. Lavori pubblici, subappalti, forniture: tutto gestito come merce di scambio, tra funzionari compiacenti, imprenditori “amici” e politici locali che trattano i soldi pubblici come se fossero il bancomat di un clan.

Dalle carte emerge un sistema:

  • Appalti pilotati in favore di ditte segnalate politicamente;

  • Pressioni sugli imprenditori affinché si rivolgano a fornitori “graditi”;

  • Comitati affaristici che ruotano attorno ad amministrazioni pubbliche;

  • Promesse di posti e lavori in cambio di appoggio elettorale;

  • Parentele strumentalizzate per entrare nei cantieri o escludere concorrenti.


Il malaffare ha un volto, e non è solo giudiziario: è politico

Le intercettazioni raccolte parlano chiaro. Parlano di imposizioni, di “questo deve lavorare per forza”, di “me l’ha chiesto il sindaco”, di cantieri bloccati perché l’imprenditore non era allineato. Parlano di politici che agiscono da mediatori tra soldi pubblici e pacchetti di voti. E tutto ciò, lo ribadiamo, non cambia solo perché il processo si sposta a Palermo.


Il rischio della disinformazione

In queste ore, alcuni tra gli indagati o i loro sostenitori stanno facendo passare il trasferimento del processo come una vittoria. Ma non è un’assoluzione, non è un proscioglimento, non è nemmeno un giudizio di merito. È solo il passaggio previsto dalla legge affinché il giudice competente valuti il caso.

E se il GIP di Palermo, nei prossimi 20 giorni, non confermerà le misure cautelari già emesse, questo non significherà che le accuse sono false, ma solo che serviranno nuove valutazioni alla luce della documentazione raccolta.

L’inchiesta “Appalti e mazzette” mostra una verità amara, ma necessaria: in questa parte di Sicilia la gestione degli appalti pubblici è spesso contaminata da interessi privati, scambi politici, favoritismi e corruzione.

Il processo andrà avanti, e Report Sicilia continuerà a raccontare non solo gli aspetti tecnici, ma soprattutto la sostanza politica e morale di un sistema che danneggia la collettività e arricchisce pochi.

La vera vittoria sarà quando la trasparenza prevarrà sul clientelismo. Non quando cambia un tribunale.