• Il carcere Due Palazzi di Padova avvia una sperimentazione che ha già suscitato polemiche: al suo interno sono state allestite le cosiddette “stanze dell’amore”, ambienti dove – per due ore e mezza suddivise in turni quotidiani e previa autorizzazione del magistrato di sorveglianza – i detenuti potranno incontrare il partner in intimità, in una camera arredata con letto, televisore e bagno. Adnkronos
    La normativa stabilisce che la stanza non possa essere chiusa dall’interno, e che non vi sia sorveglianza diretta della polizia penitenziaria.

“Momenti di riservatezza, ambiente il più possibile domestico” è la motivazione menzionata dagli enti che promuovono l’iniziativa. 

Non si tratta tuttavia di una novità isolata: simili stanze sono state testate anche in altri Paesi europei con l’obiettivo dichiarato di preservare i legami affettivi, ridurre il disagio psicologico, e favorire la reintegrazione sociale al termine della pena. Ma in Italia, dove le condizioni carcerarie sono spesso già oltre il limite della soglia critica, questa scelta ha scatenato reazioni di forte allarme.

Un contrasto con la memoria storica: Merlin e il divieto dei bordelli

In Italia, la legge sulla prostituzione è regolata ancora oggi dalla legge Merlin (20 febbraio 1958, n. 75), che abolì le case di tolleranza e vietò i bordelli, introducendo reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. 
Molti attivisti, commentatori e cittadini oggi non esitano a parlare – con tono polemico – di una perversa inversione storica: non è che, dietro la parvenza della sperimentazione, si stiano aprendo le porte a forme di prostituzione interna alle carceri?

Secondo questa visione critica, mentre la società sembra aver accettato che la pena detentiva serva anche (o solo) a logorare, si interviene nel carcere cercando di riprodurre scenari che già la legge Merlin aveva bandito: luoghi chiusi dove – forse – si possa “regolare” la sessualità. Ma la differenza fondamentale è che nei bordelli tradizionali la prostituzione implicava uno scambio materiale: qui l’“uso” rimane nelle mani del privato – e il rischio è che, de facto, ci si avvicini a modelli di sfruttamento, costume o connivenza non esplicita.

In altre parole: chi critica sostiene che non siamo di fronte a stanze d’amore, ma a carceri che si trasformano – con un’esplicita vocazione affettiva/sessuale – in luoghi dove il sesso si “sospende fuori dal tempo” della pena, senza trasparenza, senza regole chiare e sotto un’ombra di arbitrarietà.

L’altra emergenza: sovraffollamento, carenza di personale e detenuti stranieri

La polemica sulle stanze dell’amore a Padova non nasce dal nulla. Le carceri italiane da decenni sono costantemente in affanno: problemi di sovraffollamento, strutture degradate, personale di polizia penitenziaria spesso insufficiente e sottoposto a turni estenuanti.
In molte sezioni, la convivenza è precaria, e le tensioni fra detenuti sono frequenti.

In questo contesto, le stanze dell’amore diventano un tema “sensibile” non solo simbolicamente, ma anche pratico: chi garantisce che non vengano usate come merce di scambio, che non si creino nuovi conflitti o intrecci di corruzione interna? Chi controllerà che non emergano forme di sfruttamento sessuale implicito?

In più, nella discussione pubblica si è acceso un dibattito che, anche in sede politica, si porta dietro questioni di nazionalità e sicurezza: è noto che una parte significativa dei detenuti in Italia è di nazionalità straniera. Sebbene non ci siano dati recenti e ufficiali sempre aggiornati, molti osservatori indicano come un “peso” da gestire la componente straniera del carcere, spesso legata a reati minori, regolamenti migratori, espulsioni pendenti, difficoltà linguistiche e burocratiche.

Una proposta controversa: l’espulsione obbligatoria

Fra le soluzioni più radicali che emergono nel dibattito, ve n’è una che spesso viene ripetuta nei talk show o nei commenti pubblici: imporre l’espulsione obbligatoria del detenuto straniero, con l’obbligo di scontare la pena nel Paese d’origine.

I sostenitori affermano che:

  • ridurrebbe il numero dei detenuti nelle carceri italiane, alleviando il sovraffollamento;

  • eviterebbe che comunità straniere con “capitali criminali” operino dentro le carceri italiane;

  • sottrarrebbe incentivi economici o opportunità di racket interno legato al “servizio” carcerario;

  • avrebbe un effetto deterrente per chi entra in Italia senza regole.

Ma la proposta presenta molte criticità:

  1. Principi costituzionali e diritti umani
    L’espulsione forzata deve rispettare il principio del contraddittorio, del diritto di difesa, delle garanzie processuali. Non può essere una misura automatica e indiscriminata – pena la violazione della dignità umana e di diritti fondamentali.

  2. Accordi internazionali e sovranità degli Stati esteri
    L’Italia non può imporre pene o condizioni carcerarie dentro altri Stati. Occorrono accordi di cooperazione penale internazionali, trattati di estradizione che spesso sono lunghe procedure burocratiche.

  3. Condizioni dei carceri nei Paesi di origine
    Molti Stati d’origine hanno sistemi penitenziari che non garantiscono condizioni minime di salute, sicurezza e dignità. Rimpatriare un detenuto sarebbero reato o imposizione in luoghi dove rischia torture o condizioni degradanti potrebbe violare convenzioni internazionali sui diritti umani.

  4. Costi e meccanismi realizzativi
    Il trasferimento internazionale, il coordinamento giudiziario e logistico, la stipula di intese bilaterali comporterebbero costi (economici, diplomatici, logistici) non trascurabili.

  5. Discriminazione e stigmatizzazione
    Anche in un contesto dove una parte dei detenuti è straniera, applicare espulsioni massive rischia di essere percepito (e operato) come una misura discriminatoria, che scinde la pena in base all’origine, non al reato.

Quali scenari per il futuro?

  1. Maggiore trasparenza e regolamentazione interna
    Se si sperimenta davvero il modello delle stanze dell’amore, è essenziale che sia accompagnato da regolamenti rigorosi, controllo esterno (garanti dei detenuti, commissioni indipendenti), documentazione pubblica e monitoraggio continuo (numero di casi, eventuali abusi o contenziosi).

  2. Investimenti nel personale, nella riqualificazione delle strutture e nel recupero sociale
    Prima di sperimentare innovazioni così delicate, lo Stato dovrebbe garantire il diritto fondamentale alla sicurezza, alla salute e al trattamento umano all’interno delle carceri. Potenziare il numero di agenti di polizia penitenziaria, migliorare le condizioni strutturali e sviluppare programmi di istruzione, lavoro e reinserimento sono priorità.

  3. Riforme legislative calibrate
    Se si dovesse valutare anche una forma limitata di espulsione dei detenuti stranieri, occorrerebbe definirla in modo molto circoscritto: casi specifici di criminalità grave, previa decisione giudiziaria motivata e garbata verifica delle condizioni dello Stato estero. Sarebbe da evitare che diventi una “via facile” per alleggerire le carceri senza “fare i conti” con il vero problema: la gestione penitenziaria interna.

  4. Coinvolgimento della società civile e del dibattito pubblico
    Un dibattito trasparente e partecipato è fondamentale: associazioni, garanti, avvocati, enti per i diritti umani dovrebbero vigilare e partecipare alla definizione delle regole.

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