AGRIGENTO – Un altro durissimo colpo alla criminalità organizzata in provincia di Agrigento. All’alba di oggi, 1° agosto 2025, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale hanno eseguito una nuova ordinanza di misure cautelari personali nei confronti di 14 persone, tutte già indagate per associazione mafiosa e traffico di droga, aggravati dal metodo mafioso. L’operazione si è svolta tra Agrigento e diverse Case Circondariali sparse in Italia: da Palermo a Lecce, da Trapani a Taranto, passando per Caltanissetta, Enna, Gela, Voghera e Agrigento stessa.

Si tratta della naturale prosecuzione dell’inchiesta che, lo scorso 14 gennaio, aveva già portato all’arresto di 48 persone appartenenti alle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento-Villaseta, riconducibili a Fabrizio Messina (49 anni) e Pietro Capraro (39 anni). Il nuovo provvedimento colpisce anche i 13 soggetti fermati a luglio su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.

Le accuse: droga, armi e atti intimidatori per il controllo del territorio

Gli indagati sono accusati di far parte di un’associazione a delinquere dedita al traffico di cocaina e hashish, con disponibilità di armi da guerra, giubbotti antiproiettile, migliaia di munizioni e, soprattutto, con una struttura ancora pienamente operante e collegata alla storica organizzazione mafiosa “Cosa Nostra”.

La DDA ha documentato come l’organizzazione, seppur pesantemente colpita nel tempo, continui a mantenere intatti i canali di comando anche all’interno del carcere, grazie all’uso sistematico di telefoni cellulari nascosti e altri strumenti di comunicazione.

Particolarmente rilevante è stato l’uso dello smartphone sequestrato al detenuto James Burgio, recluso nel carcere di Augusta. La copia forense del dispositivo ha consentito agli investigatori di ricostruire l’intero organigramma e le attività dell’associazione, evidenziando come Burgio, pur detenuto, avesse accresciuto il proprio potere fino a trattare alla pari con Capraro e Gaetano Licata, altro esponente apicale della famiglia agrigentina.

Il controllo del territorio: intimidazioni, armi e fuoco

Le indagini hanno documentato un’escalation di atti intimidatori nel territorio, tra il settembre e il dicembre 2024, fino a giugno 2025. Ecco alcuni dei reati contestati:

  • Porto Empedocle (Settembre-Ottobre 2024): intimidazioni con colpi di arma da fuoco contro l’abitazione e incendio di autovettura ai danni di un imprenditore, per costringerlo a versare denaro all’organizzazione;

  • Porto Empedocle (Novembre 2024): incendio doloso per costringere un pusher “autonomo” a smettere di spacciare senza autorizzazione;

  • Porto Empedocle (Dicembre 2024): spari contro un’abitazione per costringere il proprietario a pagare un debito di droga;

  • Agrigento (Dicembre 2024): spari contro una rivendita di frutta e verdura;

  • Porto Empedocle (Ottobre 2024): auto data alle fiamme per un diverbio tra il proprietario e uno dei sodali;

  • Raffadali (Dicembre 2024): spari intimidatori contro un’autovettura;

  • Porto Empedocle (Dicembre 2024): colpi di arma da fuoco contro la saracinesca di un’attività commerciale;

  • Porto Empedocle (Giugno 2025): colpi di kalashnikov contro un panificio.

Le modalità delle intimidazioni – che includono l’uso del fucile mitragliatore AK-47 Kalashnikov – confermano l’enorme disponibilità di armi e la spregiudicatezza dell’organizzazione.

Le prove e i sequestri

L’arresto in flagranza di Cristian Terrana, il 27 maggio a Porto Empedocle, ha fornito ulteriori elementi: nel suo borsello, i Carabinieri hanno rinvenuto 506 grammi di cocaina e 780 euro in contanti. A casa sua, altri 4.880 euro. Durante i blitz, sono stati sequestrati:

  • un fucile mitragliatore AK-47 con due caricatori;

  • 1,6 kg di hashish;

  • un giubbotto antiproiettile;

  • migliaia di munizioni di vario calibro.

Un sistema ancora vivo

L’inchiesta ha svelato una realtà inquietante: nonostante le numerose operazioni giudiziarie degli ultimi anni, la mafia agrigentina non è stata smantellata, ma continua a operare con metodi classici e moderni, mantenendo contatti tra carcere e libertà, garantendo approvvigionamenti di droga e risolvendo le “questioni” con intimidazioni armate.

Il Gip di Palermo ha convalidato l’impianto accusatorio della Procura e ha disposto la custodia cautelare in carcere per 13 indagati e gli arresti domiciliari per un quattordicesimo.


Nota: Per il principio di presunzione di innocenza, le posizioni degli indagati non sono definitivamente accertate fino a sentenza passata in giudicato.

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