E’ attesa nella tarda mattinata di domani la sentenza del processo con il rito abbreviato, in corso dal Tribunale di Palermo, a carico di Gaetano Di Giovanni e altre due persone, Michela Sclafani, ex dirigente (subito sospesa dal servizio) della Città Metropolitana di Palermo (l’omologa di Di Giovanni) e il marito di lei, Giovanni Dalia che hanno scelto di essere giudicati alla luce degli atti fin qui raccolti nell’inchiesta. Per l’ex comandante dei vigili urbani di Agrigento e capo di gabinetto del sindaco Francesco Micciché l’accusa è di corruzione. Per i coniugi la richiesta avanzata dal pubblico ministero fu di due anni, oltre tutte le pene accessorie. Per Di Giovanni, la richiesta è stata di 5 anni, oltre pene accessorie e cessazione del rapporto di lavoro. Parte civile nel processo in corso è il comune di Santa Elisabetta, rappresentato dall’avvocato Elisabetta Fragapane. Il Comune di Agrigento ha ritirato la propria costituzione di parte civile, dopo avere incassato 5000 euro come risarcimento da parte dello stesso Di Giovanni, assistito dall’avvocato Marcello Montalbano. L’uomo venne arrestato l’11 aprile scorso e posto ai domiciliari. Di Giovanni, 59 anni, all’epoca dirigente del distretto socio-sanitario di Agrigento, è accusato di aver favorito l’affidamento di servizi socio-assistenziali a due cooperative: Medea (per 204.051 euro) e Nido d’Argento (per 89.355 euro), non ad Agrigento. In cambio – secondo gli inquirenti – avrebbe ricevuto una tangente complessiva di 7.500 euro, suddivisa in almeno tre tranches. “Mai preso soldi da nessuno, in quei fascicoli non c’erano banconote ma solo documenti. Inoltre, in qualità di dirigente coordinatore, non avevo responsabilità sugli atti, come invece il responsabile del procedimento” ebbe a dire l’uomo, durante le dichiarazioni spontanee che gli fu concesso di effettuare, in una delle ultime udienze. Non resta dunque che attendere la sentenza che potrebbe avere ricadute anche in campo prettamente politico.