AGRIGENTO – Le osservazioni della Corte dei Conti su Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025 hanno scoperchiato un vaso di Pandora che oggi nessuno può più ignorare.

I magistrati contabili hanno evidenziato due rilievi centrali:

Il dossier trasformato in un “libro dei sogni”
Progetti dichiarati come “in fase di completamento” che in realtà non sono mai stati neppure avviati. Una narrazione costruita più per abbellire il dossier che per gestire realmente un percorso di sviluppo. La domanda sorge spontanea: se il titolo fosse stato conquistato su basi non veritiere, non si tratterebbe di una vittoria ottenuta barando?

Personale e fondazione: il carrozzone mancato
Il caso Albergoni e la sua retribuzione restano in cima alle criticità. L’amministrazione Miccichè aveva immaginato una Fondazione di diritto privato, alimentata da soldi pubblici, con assunzioni a tempo indeterminato senza concorso e lo stesso Albergoni nominato direttamente nello Statuto, senza alcuna selezione. Un progetto figlio degli anni ’80, bloccato solo grazie all’intervento di una parte dell’opposizione.


L’opposizione che c’è… e quella che non c’è

A raccogliere la sfida e a “cercare” di limitare i danni sono stati soltanto quattro consiglieri: Alessia Bongiovi, Valentina Cirino, Pietro Vitellaro e Roberta Zicari. A loro va riconosciuto il merito di aver sollevato la questione e difeso, per quanto possibile, la dignità del Consiglio.

Ma il quadro politico è impietoso: il resto dell’aula, fatta eccezione per questi pochi nomi, non ha voluto o saputo esercitare il proprio ruolo di opposizione. In molti casi, il silenzio ha fatto da scudo a una gestione fallimentare, trasformando parte consistente del Consiglio in corresponsabile del disastro.

Va anche ricordato che, mentre DC e Lega fanno parte del governo regionale, in città siedono senza incidere, incapaci di produrre una reale azione di contrasto a un progetto che oggi mostra tutte le sue crepe.


Una scelta senza logica

La domanda posta dai quattro consiglieri resta sul tavolo e assume un valore ancora più forte: perché creare una nuova Fondazione, priva dei requisiti per fare appalti, invece di utilizzare la già esistente Fondazione Teatro Pirandello?

L’esito è sotto gli occhi di tutti: oggi il Comune si ritrova costretto a chiedere aiuto al Parco Archeologico per gestire e spendere fondi che avrebbe dovuto saper amministrare in autonomia.


La vera responsabilità

Le carte della Corte dei Conti certificano quello che in città era già chiaro: il titolo di Capitale italiana della Cultura, invece di essere un volano, rischia di diventare una zavorra. E non solo per colpa di un’amministrazione miope, ma anche di un Consiglio comunale che, in gran parte, ha scelto il silenzio e quindi la corresponsabilità.

La domanda che resta sospesa è amara ma inevitabile: chi risarcirà Agrigento del danno di immagine e di credibilità che questa gestione ha prodotto?

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