Il vertice tenutosi questa mattina presso la Prefettura di Agrigento sulla crisi idrica ha fatto emergere una situazione drammatica che, nonostante gli avvertimenti di mesi fa, sembra essere ulteriormente peggiorata. Presenti all’incontro il prefetto Filippo Romano, il capo della Protezione Civile siciliana Salvo Cocina e tutti i sindaci della provincia. Lo scenario delineato è chiaro: l’emergenza è grave, eppure le soluzioni che erano state discusse già ad aprile sembrano essere rimaste sulla carta.

Il confronto tra aprile e agosto: cosa è cambiato?

Già durante l’assemblea del 4 aprile scorso, il tema centrale era la necessità di reperire nuove fonti d’acqua. I sindaci, insieme al prefetto Romano, avevano discusso di interventi urgenti per prevenire la dispersione d’acqua attraverso le condotte e la possibilità di requisire pozzi privati per soddisfare la domanda crescente. Si era parlato anche del ripristino dei dissalatori, che avrebbe richiesto però tempi lunghi.

Oggi, a distanza di quattro mesi, la situazione non è migliorata. Al contrario, il quadro delineato da Salvo Cocina e dai sindaci presenti è di ulteriore aggravamento. Ribera, uno dei comuni più colpiti, vive una crisi idrica senza precedenti, con l’acqua che manca da settimane in alcune zone e l’agricoltura ormai a rischio collasso. Il sindaco Matteo Ruvolo ha espresso preoccupazione per le migliaia di imprenditori agricoli che rischiano il fallimento a causa della mancanza d’acqua per l’irrigazione.

I problemi irrisolti: immobilismo o volontà politica?

Il nodo cruciale di questa vicenda sembra essere l’inefficienza dei sindaci nel prendere provvedimenti concreti. Nonostante le direttive della Prefettura e della Protezione Civile, che già ad aprile avevano assegnato ai sindaci il compito di reperire nuove fonti di approvvigionamento, ad oggi la situazione è pressoché immutata. I pozzi, che secondo le parole di Cocina dovrebbero essere messi a disposizione dal territorio, non sono ancora stati sfruttati appieno, mentre i dissalatori continuano a rappresentare una soluzione lontana nel tempo.

Le parole del sindaco di Agrigento, Franco Miccichè, suonano come un grido di frustrazione: “Vediamo di trovare una soluzione che sia definitiva”, ha dichiarato, ma la realtà dei fatti è che una crisi così imponente non può essere accettata. Il piano d’emergenza è stato approvato a giugno, lo stato di emergenza dichiarato a maggio, eppure ad agosto la situazione sembra sfuggire sempre più di mano.

Altri interessi in gioco?

Di fronte a questa evidente inefficienza, sorge spontanea una domanda: perché i sindaci non hanno ancora preso le misure necessarie? Le risorse esistono, i pozzi sono presenti sul territorio, ma sembra che qualcosa, o qualcuno, freni l’adozione di soluzioni rapide. È forse lecito chiedersi se dietro questa apparente immobilità si nascondano interessi diversi da quelli dei cittadini?

La crisi idrica colpisce duramente la popolazione, l’economia agricola e il benessere dei comuni, eppure sembra che il processo decisionale sia rallentato da fattori che vanno oltre la semplice difficoltà burocratica. Le risorse ci sono, le soluzioni sono state discusse mesi fa, ma la loro attuazione è ancora lontana. Il rischio, come ha detto Ruvolo, è la fine dell’economia di un intero territorio.

Conclusioni

La crisi idrica in provincia di Agrigento non è solo una questione climatica, ma riflette un problema più profondo di gestione politica e di responsabilità. Se già ad aprile i sindaci erano stati chiamati ad agire e, a distanza di quattro mesi, nulla è cambiato, è lecito chiedersi se stiamo assistendo a un semplice caso di inefficienza o se ci siano interessi nascosti che impediscono la risoluzione di un problema che è sotto gli occhi di tutti.

Le istituzioni devono agire con decisione, e i cittadini hanno il diritto di chiedere risposte concrete e trasparenza su una crisi che potrebbe e dovrebbe essere affrontata con maggiori risorse e celerità.

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