I buoni pasto sono una cosa seria. Se ne sono resi conto anche i giudici della suprema corte di Cassazione, chiamati a mettere la parola fine a una vicenda agrigentina, quella sollevata da un centinaio di dipendenti della Provincia regionale di Agrigento. Buoni pasto che l’ente fino a qualche mese fa Libero Consorzio dei Comuni aveva deciso di non pagare più agli impiegati dal giugno 2015. Ne sono scaturiti dieci anni di “guerra”, vinta in primo grado dall’ente provinciale e dai dipendenti in sede di corte d’Appello. Perchè in ballo ci sono fior di soldini. Per non darla vinta ai propri impiegati, il commissario alla guida del Libero consorzio prima del presidente Giuseppe Pendolino, decise di proporre ricorso innanzi la corte di Cassazione. La sentenza è stata emessa alcune settimane addietro, con la vittoria dei dipendenti della Provincia regionale di Agrigento, assistiti dall’avvocato Grazia Marchese. La Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento, aveva integralmente rigettato il ricorso e aveva condannato il Libero Consorzio Comunale, disponendo il risarcimento del danno in favore degli stessi e commisurò il risarcimento al valore dei buoni pasto non erogati a decorrere dal mese di giugno 2015.
Una decisione unilaterale non attuabile
Scrivono i giudici ermellini: “Il giudice d’appello, pur dando atto della natura assistenziale e non retributiva del buono pasto nonché del principio secondo cui la corresponsione è rimessa alla determinazione degli enti, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, ha ritenuto che, una volta che il servizio sia stato attivato ed «entrato a fare parte del patrimonio del soggetto che ne fruisce», non è consentita la revoca unilaterale e «autocratica» del beneficio, perché in relazione agli atti di gestione del rapporto il datore è tenuto ad operare nel rispetto delle regole di correttezza e a non ledere ingiustificatamente l’affidamento riposto dal dipendente nella corresponsione dell’utilità. È, quindi, necessario che l’ente dia conto delle ragioni e delle esigenze nuove che giustificano la soppressione e che si confronti con le organizzazioni sindacali. Nella specie, al contrario, il Consorzio si era limitato ad emanare una nota interna indirizzata ai dirigenti con la quale era stata comunicata la determinazione unilaterale di non rifinanziare l’erogazione dei buoni pasto”. La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla Provincia regionale, condannandola al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200 euro per esborsi e 5.000 euro per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge. Da vedere a questo punto le modalità di risarcimento di dieci anni di buoni pasto non erogati.

