Giacomo Minio, Francesco Bellomo. Per chi volesse avere una lezione di rispetto delle istituzioni, basterebbe contattare costoro e abbeverarsi di conoscenza su queste due difficilissime (per molti) materie. Perché? Perchè costoro hanno avuto – con modalità diverse – la comune esperienza delle dimissioni dalle cariche ricoperte. Minio era presidente della Fondazione Agrigento Capitale della Cultura, costretto a farsi da parte da chi  lo aveva “eletto”, per poi non ritenerlo adeguato a portare avanti un certo tipo di lavoro, venendo sostituito da una prefetto in pensione, con risultati che si aspettavano diversi. Francesco Bellomo si è dimesso pochi giorni fa da direttore artistico del Teatro Pirandello, perchè “costretto” esclusivamente dal proprio senso di responsabilità, avendo appreso dal giornale (!) di essere indagato dalla Procura di Roma per questioni di carattere fiscale, nate da una lite con un suo ex collega di teatro.

Tutti in sella fino alla fine

Stop. Negli ultimi anni, ad Agrigento alla voce “dimissioni” hanno risposto solo questi due personaggi. All’ombra dei Templi non si dimette nessuno, non sia mai. Tutti devono stare al loro posto per finire il lavoro. Non si dimette il sindaco Francesco Miccichè (non risulta indagato), al cospetto della quasi totale inefficienza della propria amministrazione, nel garantire servizi essenziali alla città e di una maggioranza sempre più scricchiolante. Non si è dimesso nemmeno dopo la scure delle indagini su importanti burocrati che lo hanno affiancato in questi anni, come Gaetano Di Giovanni, suo ex capo di gabinetto e comandante della polizia locale, addirittura condannato in primo grado a oltre 5 anni di carcere per corruzione. Niente dimissioni nemmeno prendendo atto delle difficoltà giudiziarie del proprio “dominus” politico, Roberto Di Mauro, coinvolto nell’inchiesta sulla rete idrica di Agrigento, tutt’ora in corso e in piena evoluzione. Di Mauro che si era dimesso da assessore regionale all’Energia pochi giorni prima dell’esplosione del “bubbone” della presunta “mazzettopoli”. Non si è dimesso nemmeno il presidente del Consiglio comunale Giovanni Civiltà, a processo per una vicenda di presunti diplomi scolastici sospetti, esplosa nei mesi scorsi, ma che non ha influito sulla conduzione (sempre inappuntabile) dell’aula consiliare, da parte del diretto interessato. Del resto i processi servono a stabilire colpevoli e innocenti e Civiltà si ritiene innocente al 100%. Nemmeno i vertici di Aica, sotto la lente d’ingrandimento della Procura della Repubblica – al momento non indagati – hanno uno scatto d’orgoglio nel fare un passo indietro, per consentire agli inquirenti di condurre le indagini, magari sotto una una luce meno forte dei riflettori. Ma non si dimettono nemmeno al cospetto del fallimento finanziario dello stesso consorzio e della pessima gestione delle reti idriche di competenza. Vedremo, a stretto giro di posta, anche se nella “neorinata” Provincia regionale i vertici eletti poche settimane fa decideranno di andare avanti, infischiandosene delle “ombre” che si allungano sulle modalità di voto.

Un passo indietro questo sconosciuto

Dimettersi non è un segno di debolezza o un dichiararsi colpevole. Dimettendosi si mette in sicurezza l’istituzione che si rappresenta, come ha detto e fatto Bellomo lasciando la guida artistica del Teatro, ente estraneo alle indagini che coinvolgono l’ex direttore artistico. Ad accomunare coloro i quali non si dimettono è (verosimilmente) il sentirsi totalmente estranei ai fatti contestati. Chi sa di essere onesto ha voglia di andare avanti, in ogni campo della vita. Non ci stà a mollare tutto, per accuse che ritiene infondate. Tutto assolutamente legittimo, specie se non si fosse nemmeno indagati, come nel caso del sindaco. Ma a volte capita di imbattersi in qualche Minio o qualche Bellomo che, pur nutrendo gli stessi sentimenti di estraneità ad accuse o inefficienze, il passo indietro lo hanno fatto, suscitando l’ammirazione e lo stupore dei più. Sì, perchè dimettersi ad Agrigento è un atto di rivoluzionario.

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