Da sabato scorso, Giovanni Brusca, detto tra l’altro “lo scannacristiani” è un uomo totalmente libero. Il 31 maggio 2021 dopo 25 anni di reclusione, venne  rilasciato dal carcere di Rebibbia per termine della pena, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna, rimarrà comunque in libertà vigilata per altri 4 anni e vivrà sotto protezione. Nel luglio del 2022 il Tribunale di Palermo ritenne che Brusca fosse socialmente pericoloso e gli conferì lo status di sorvegliato speciale, imponendogli l’obbligo di firma ed il divieto di uscire la sera ed incontrare pregiudicati. Da sabato scorso anche questo limite è caduto, riconsegnandolo alla libertàDopo 25 anni di carcere e quattro di sorveglianza. Brusca, autore di circa 150 omicidi e, almeno secondo le ricostruzioni ufficiali, soggetto che ha fisicamente innescato l’esplosivo che il 23 maggio 1992 ha sventrato l’autostrada di Capaci, ha finito di pagare il suo debito con la giustizia. Lo ha fatto usufruendo di significativi benefici penitenziari, avendo scelto di collaborare con i magistrati.  A ritrovare piano piano la libertà è stata una legge voluta dalla sua più illustre vittima, Giovanni Falcone, il quale aveva compreso il ruolo cardine che i collaboratori di giustizia avrebbero potuto rivestire non solo nella lotta alla mafia. Giovanni Brusca, capomandamento di San Giuseppe Jato, venne arrestato la sera del 20 maggio 1996 in contrada Cannatello, frazione balneare del comune di Agrigento. E non fu un caso.

Arrestato – non a caso – ad Agrigento

Nella sua infinita carriera criminale, Brusca si macchiò di una serie di delitti atroci, rendendolo una delle primule rosse più ricercate del mondo. Oltre che per la strage di Capaci, è stato considerato responsabile dell’organizzazione della strage di via D’Amelio e della pianificazione degli attentati del 1993 a Milano, Roma e Firenze, nonché di avere ordinato il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo – imprigionato per 779 giorni, poi ammazzato e sciolto nell’acido – per vendicare la collaborazione con la giustizia del padre del bambino, il mafioso Santino Di Matteo. Lo stesso Brusca ha più volte ammesso di avere ordinato o partecipato a oltre cento omicidi. Nonostante tutto questo devastante curriculum Brusca è un uomo libero. Ciò è potuto accadere perché il boss, in seguito alla cattura, decise di abbandonare Cosa Nostra e affidarsi allo Stato come collaboratore di giustizia. E la sua non è stata una collaborazione di facciata, ma sostanziale. Tra le altre cose, Brusca ha infatti raccontato delle operazioni che contrassegnarono l’organizzazione della strage di Capaci e dell’omicidio del piccolo Di Matteo, fornendo agli investigatori preziose informazioni per ricostruire in modo incontrovertibile l’articolazione del “commando” dei corleonesi di Totò Riina. Brusca fu il primo pentito a parlare della “Trattativa Stato-mafia”, concretizzatosi nell’invito al dialogo che gli ufficiali del ROS veicolarono, tra la morte di Falcone e quella di Borsellino, ai vertici di Cosa Nostra. In giro, sulle strade del mondo, torna un uomo dal passato sporco di sangue, ma che collaborando con lo Stato ha cercato e sta cercando di ritrovare dignità umana. 

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