Editoriale di: Diego ROMEO

Probabilmente resteranno  ricche di significato le sequenze fotografiche pubblicate sui giornali  in occasione della forzata “elevazione” del Telamone nella valle dei templi. Vogliamo sperare ci sia un altro poeta che componga una poesia sul Telamone “risorto” in contrapposizione a quella di   Salvatore Quasimodo  che in “Strada di Agrigentum” cantava del” vento che macchia e rode l’arenaria e il cuore dei telamoni lugubri, riversi sopra l’erba. Anima antica, grigia di rancori, torni a quel vento, annusi il delicato muschio che riveste i giganti sospinti giù dal cielo.”  Sembra quasi profetica l’esortazione di Quasimodo (che allora poteva solo sognare la designazione di Agrigento a capitale della cultura) all’anima antica, grigia di rancori siciliani per tutti quei rappresentanti politici che a frotte e col naso all’insù misuravano la loro piccolezza e che erano molto lontani dall’idea di  tornare a quel vento e annusare il delicato e metaforico muschio che quel gigante innalzato non aveva più e che mostrava arenaria artefatta, concepita  come se fosse una “donna cannone” da esibire nel circo del consenso mediatico.  Un tempo si parlava esplicitamente di “nani e ballerine” che impazzavano nel circense politico e c’è una foto “di nasi all’insù” che evoca plasticamente quella temperie  al cospetto di un Telamone, di uno di quei kouroi che oggi lo scrittore Beniamino Biondi ribalta in fantasmi nel libro   “La Sicilia degli spettri”. Ricordo che un critico letterario scrisse apertamente che quegli spettri raccontati da Biondi erano meno pericolosi degli spettri vaganti e operanti oggi nelle sicule contrade.  E questo forzato ricordo alla eredità del passato cui potremmo aggiungere la grottesca cerimonia avvenuta tempo fa al Teatro Pirandello di proclamare Empedocle sindaco dell’Isola Ferdinandea e  l’incolpevole Franco Miccichè primo cittadino con tessera proiettata su grande schermo, è la dimostrazione che quei “nasi all’insù” rischiano di diventare un alibi illusorio per non guardare alle “solite cose terrene di Girgenti” , per non raccontarle non dico al mondo ma ai comuni cittadini che sono i primi a stupirsi e a preoccuparsi della insolita designazione a “capitale della cultura” sempre alla ricerca della sua anima identitaria e che non riesce a cogliere l’assist che la designazione le offre. E si è visto come l’intero mondo artistico e archeologico abbia notificato  questa elevazione telamonica in una valle che non può essere pensata e sfruttata come effetto circense o luna park o addirittura come una escort in comodato d’uso a una qualche multinazionale come avvenne qualche anno fa per centomila euro. Qualcuno le chiamerà finezze o sfizio di critica ma certamente occorre dare ragione a quei turisti che, si è appreso,  hanno indirizzato lamentele al Parco Archeologico per l’incanto della visita ai templi rovinato dai rumori dei concerti. E sono parecchie le perplessità che suscita la cultura e la interpretazione mostrata  dai nostri direttori dei Parchi siciliani come ad esempio le decisione presa a Siracusa dall’assessorato Beni culturali e dal direttore del parco archeologico Carmelo Bennardo che sarà coadiuvato da Lello Analfino che si dibatte nel precario” sbrong” per uscire dalla sua “comfort zone”. Si tratta di un teatro provvisorio all’aperto antistante l’ara di Ierone II per ospitare il calendario di musica leggera nella prossima stagione. Un” luogo pazzesco” è stato definito, dove sarà costruito un palco di 200 metri quadrati che dimostra la ottusa e redditizia  vocazione al “panem et circenses” dei nostri governanti , vittime “noi e loro” di una mummificazione politica che manda tutto al macero. Ed è città della cultura l’Agrigento che obbliga la sua squadra di calcio a giocare senza spettatori per una già contestata motivazione giudiziaria inerente la presidenza della squadra mentre si confermano incarichi di grande rilevanza amministrativa   a funzionari condannati e per questo  oggetto di interrogazioni parlamentari? Il 2025 non è lontano e il riassetto della città è di là da venire. Ma basteranno i “mea culpa” dei sovrani governanti e dei sovrani cittadini ammesso che vogliano battersi il petto?

Un pensiero su “I “capitalisti della cultura” col naso all’insù ai piedi del Telamone”

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