di Alfonso Maurizio Iacono

Gli articoli 17 e 21 della Costituzione. Il 23 febbraio 2024 in un solo colpo la polizia ha violato gli articolo 17 e 21 della Costituzione. L’articolo 17 dice: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. E l’articolo 21 afferma: “Tutti hanno diritto di pensare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. I ragazzi del Liceo Russoli di Pisa, minorenni, manifestavano pacificamente per la pace in Palestina e per la fine delle ostilità a Gaza. Non erano più di una cinquantina. Volevano passare per Piazza dei Cavalieri, cosa piuttosto ovvia, perché è là che più facilmente potevano fare sentire la loro voce. Non c’erano pericoli e minacce di nessun genere. L’articolo 17 della Costituzione parla chiaro. Le autorità possono vietare una manifestazione “soltanto per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Questi motivi, che devono essere comprovati, non c’erano. Dunque le manganellate che tutti abbiamo visto tramite i social non avevano ragion d’essere. Si è trattato di violenza immotivata. Non so quali fossero le intenzioni di chi ha dato l’ordine di usare i manganelli sulle ragazze e sui ragazzi. Quali che fossero, di fatto il messaggio che con le botte ne è venuto fuori è di uno stato che si accanisce contro i suoi cittadini, i quali devono obbedire minacciati dalla forza e dalla violenza. L’esatto contrario della democrazia, l’esatto contrario dell’apprendimento e dell’educazione in un sistema libero e democratico, l’esatto contrario di quel senso di autonomia, di libertà e di critica che dovrebbero e devono sostenere la formazione dei cittadini. Di più, l’accanimento è stato su ragazze e ragazzi minorenni i quali esercitavano il loro sacrosanto diritto a manifestare liberamente e pacificamente il loro pensiero. Che cos’è l’educazione se non esercizio della critica e pratica dell’autonomia individuale e collettiva? Cosa distingue un sistema democratico da un sistema dispotico se non in primo luogo la libertà di manifestare criticamente il proprio pensiero?  Sia chiaro, non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Non tutta la polizia è come quella che abbiamo visto colpire dei minorenni in modo immotivato, ma il problema non riguarda soltanto l’accertamento dei fatti. Questo è compito degli inquirenti. Il problema è che con comportamenti di questo tipo si producono gravi danni non solo fisici, ma morali e educativi. Chi può fidarsi di uno stato che mostra immotivatamente il suo lato violento e aggressivo invece di proteggere i suoi cittadini? Quanto distacco crea tra istituzioni e cittadini un fatto come quello di Pisa? Noi viviamo già in una democrazia in crisi determinata fondamentalmente da tre fattori: scarsa partecipazione; ignoranza pubblica; apatia politica. Tre fattori che non sono casuali perché già teorizzati da alcuni intellettuali alla fine della seconda guerra mondiale quando si chiedevano come far funzionare in una società di massa oerganizzata democraticamente la circolazione delle élites. E immaginarono appunto una democrazia a scarsa partecipazione. Cosa che si è verificata negli anni e che è sotto gli occhi di tutti. 

Ignoranza e democrazia Negli anni ’50 Lipset e Schumpeter avevano pensato che una democrazia in una società di massa dovesse essere poco partecipativa. Ciò avrebbe favorito le élites nel governo delle cose e anche la loro circolazione e alternanza attraverso meccanismi a un di presso referendari. Questo aveva segnalato il grande storico antico Moses Finley nel paragonare la democrazia degli antichi e dei moderni. Ignoranza e apatia, ben lungi dal costituire una patologia del sistema democratico, esprimono una possibile condizione della democrazia, quella che è oggi dominante e che viene fatta passare, a destra e a sinistra, come l’unica. Che dire della moderna alleanza fra democrazia e competizione delle élites? Perché di questo si tratta, dell’ambigua convivenza o addirittura della simbiosi fra democrazia e competizione delle élites. Joseph Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia concepisce il metodo democratico come “lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare”. Uno dei presupposti dei discorsi che intendono coniugare democrazia con competizione delle élites riguarda il fatto che tale sposalizio tanto più è felice, quanto più cresce l’ignoranza politica e l’apatia pubblica. Tradotto in altri termini, nella democrazia così concepita e teorizzata, la partecipazione è uno strumento che serve al gioco delle élites, e, in quanto strumento, essa rimane vincolata ai limiti dell’ignoranza pubblica e dell’apatia politica. Essendosi dissolto il rapporto tra politica e territorio, e poiché la cultura di massa da popolare sta tornando ad essere soltanto plebea, crolla anche il senso della partecipazione (le primarie sono soltanto un pallido simulacro della partecipazione) che ora, in un modo diverso, ma nello stesso tempo simile ai regimi totalitari, si separa dal consenso. Risultato è un regime basato su regole democratiche fondamentalmente referendarie dove il consenso uccide la partecipazione.

Crisi della politica La politica che si è ormai ridotta a potere amministrativo subordunato agli interessi dei privati potenti, disaffezione verso le istituzioni, aggravata dallo smantellamento dello stato sociale e dalle difficoltà in cui si trovano scuola e sanità, isolamento a causa della disgregazione delle comunità territoriali e proprio mentre si rende possibile una connessione e un collegamento planetari. Condizione paradossale: con l’avvento del digitale, mentre aumenta l’informazione pubblica (e abbiamo potuto vedere quello che hanno fatto i poliziotti a Pisa), nello stesso tempo si vive in una situazione che i sociologi descrivono con i termini di isolati e connessi. Puoi collegarti con chiunque in qualunque angolo del mondo ma non ti accorgi di ciò sta accadendo vicino a te, al tuo prossimo. Da qui il pericolo che si affermi una democrazia dispotica, una democrazia cioè che, pur mantenendo apparentemente le regole democratiche, le viola in nome dell’ordine e riproduca un antico rapporto di sudditanza che è quello tra leader e popolo ridotto a plebe. La plebe non è il popolo. La plebe presuppone un capo-despota a cui sottomettersi o a cui ribellarsi per poi soggiacere, il popolo, al contrario, comporta l’essere cittadini, con il loro senso di appartenenza e di partecipazione in prima persona a una cosa pubblica. E’ il popolo che ha a che fare con la democrazia. E la democrazia presuppone l’autonomia degli individui e delle collettività che la determinano.  Kant aveva definito l’Illuminismo come l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità. E la minorità come l’uso dell’intelletto senza la guida di un altro. La condizione di minorità di cui parla Kant è esistenziale. Non riguarda l’età perché si può rimanere minorenni tutta la vita. Ma se si rimane minorenni non si ha autonomia e se non si ha autonomia vi sarà sempre qualcuno che penserà e agirà per tuo conto. In un sistema dispotico uno o pochi si arrogano il diritto, con la forza, con la violenza e con la persuasione, si pensare e agire per conto di tutti gli altri e se qualcuno prova a pensare e ad agire con la propria testa, viene fermato con le buone o con le cattive. Ciò che deve insegnare la scuola ai minorenni è di uscire dalla stato di minorità e perché ciò accada è necessario che l’apprendimento non sia un semplice e autoritario accumulo di nozioni, ma si accompagni all’autonomia, cioè all’uso dell’intelletto senza la guida di un altro. La guida è necessaria, ma poi il suo scopo è di diventare superflua, perché ciascuno deve apprendere a camminare con la proprie gambe.

Kant e il girello da bambini. Il girello da bambini è utile per imparare a camminare, perché aiuta i piccoli a muoversi in piedi con un’illusione di autonomia motoria che poi, quando i bambini potranno fare a meno del girello, diventerà vera autonomia. Eppure, il girello può diventare una sorta di piccola prigione, capace di creare dipendenza, da cui il bambino dovrà, con qualche sforzo di volontà, liberarsi se vorrà assaporare la gioia meravigliosa di camminare e poi correre da solo. Se dovessimo mettere a confronto due concetti come sicurezza e libertà, scopriremmo che uno strumento come il girello tende a collocarsi nel mezzo, oscillando tra i due poli. Esso infatti dà al bambino un senso di sicurezza, necessario per cominciare a organizzare la propria autonomia deambulatoria, ma che può alla lunga trasformarsi da momento di passaggio verso la libertà di movimento a un vero e proprio impedimento. Kant conosceva bene la condizione ambigua del girello. In Che cos’è l’illuminismo?, utilizza l’esempio del girello da bambini per mostrare come spesso vi siano uomini che, come quei genitori troppo ansiosi che,  temendo i pericoli in cui può incorrere il bambino, camminando da solo, scoraggiano i suoi tentativi di autonomia,   sono pronti a rendere altri uomini dipendenti impedendo quella che egli chiama l’uscita dalla minorità. Tali uomini sono tutti coloro che, in una qualche misura, detengono un potere e intendono esercitarlo costruendo la loro autonomia e la loro libertà sulla dipendenza di coloro che non riescono o non vogliono uscire dalla minorità. “Dopo aver per prima cosa istupidito, scrive Kant, i loro animaletti domestici e per aver accuratamente impedito che questi esseri pacifici potessero azzardare anche un solo passo fuori del girello in cui li avevano ingabbiati, alloa mostrano loro il pericolo che li minaccia se tentano di camminare da sole. Ora questo non è in effetti un pericolo tanto grande, essi infatti alla fine imparerebbero a camminare bene, seppur dopo qualche caduta; eppure solo un esempio di questo tipo rende timidi e scoraggia generalmente da ulteriori tentativi”.

La metafora kantiana del girello da bambini ci suggerisce che l’apprendimento ha a che fare con l’autonomia e che l’autonomia, collegata da Kant all’uscita dallo stato di minorità, si determina immediatamente come problema del potere, della relazione e della democrazia. 

Restare minorenni? Il messaggio che emerge dai fatti di Pisa, cioè dall’immotivato attacco delle forze dell’ordine, è che i minorenni devono restare minorenni anche quando avranno raggiunto la maggiore età, che non devono pensare se non dentro le regole imposte, altrimenti prendono le bastonate. Un messaggio antidemocratico che di fatto intende ridurre minacciosamente i giovani del popolo, perché questo sono le studentesse e gli studenti liceali, in plebe e che rientra perfettamente nel quadro di questa attuale democrazia in crisi, dove dominano la scarsa partecipazione, l’apatia politica, l’ignoranza pubblica. La scuola dovrebbe e deve insegnare tutto il contrario: l’alta partecipazione, la competenza pubblica, la passione politica. La scuola dovrebbe e deve insegnare l’autonomia e il senso critico, grazie a cui si governa il sapere che ci viene trasmesso e si evita di restare nel girello dei bambini o addirittura, al contrario di Pinocchio, di trasformarci da uomini in burattini.

La risposta di Pisa Per fortuna Pisa ha risposto alla grande. E non solo Pisa. La Pisa democratica si è riversata nelle piazze e per ben due volte ha fatto sentire la propria voce. Tutte le generazioni sono scese in piazza con una partecipazione che non si vedeva da tempo. L’orgoglio democratico della città con il senso di libertà civile dei suoi cittadini è ancora così ben radicato da far ben sperare che tentativi autoritari di violenza possano essere fermati sul nascere e che si possa riaprire un nuovo discorso sull’educazione, sulla democrazia e sulla pace. 

 

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