Ieri Stefano Pompeo avrebbe compiuto 38 anni. Avrebbe festeggiato con parenti e amici, sarebbe andato a lavorare, avrebbe portato i figli a scuola. Avrebbe. Nato ad Agrigento il 7 maggio 1987 venne assassinato per “errore” la sera del 21 aprile 1999 a Favara. Una delle più immani tragedie consumatesi in quei drammatici anni sporchi di sangue in provincia di Agrigento. Stefano decise di uscire con il padre poiché quest’ultimo doveva macellare un maiale per poi consumarlo, nella campagna di Antonio Cusumano assieme al fratello Giuseppe, ritenuto il capo di una cosca del paese. I due arrivarono poco dopo le 18. Alle 20,40 Stefano decise di salire su una Toyota di Cusumano, guidato da Vincenzo Quaranta, per andare a comprare il pane e approfittando dell’occasione, anche per farsi un giro. Dopo un breve tratto, l’auto venne colpita da tre colpi di fucile, uno dei quali raggiunse il bambino alla testa. Stefano non ebbe scampo, giunse in ospedale già morto. Due settimane più tardi avrebbe compiuto 12 anni.
Nessun colpevole
Dalla ricostruzione dei fatti da parte degli inquirenti è emerso che il vero obiettivo dei killer era Giuseppe Cusumano, nell’ambito di una guerra tra bande rivali. Un anno dopo la tragedia lo Stato lanciò un segnale di rivalsa, con l’operazione Fratellanza, decimando le due famiglie mafiose in guerra, quella dei Cusumano e quella dei Vetro. Passarono anni di silenzio investigativo sugli autori del delitto, anni vissuti nel ricordo di quel bambino ben voluto da tutti. Cinque anni fa ormai, nell’aprile del 2019 uscì nelle sale il documentario “Quasi12-Nessun Colpevole” scritto e diretto dal giornalista Gero Tedesco che racconta come in 20 anni non si sia riusciti a trovare la verità e addirittura non c’è stato mai nessun indagato. Grazie alla deposizione dell’ex mafioso Maurizio Di Gati e al clamore provocato dal documentario, la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo decise di riaprire il caso e nel luglio del 2019 indago tre persone per il delitto Pompeo. Ad oggi di quella indagine si sa nulla, andata probabilmente in archivio come la speranza di sapere la verità su chi uccise quella povera creatura, colpevole di trovarsi nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato.