AGRIGENTO – C’era un tempo in cui la libertà di parola ad Agrigento aveva la forma di una scopa. Non quella delle pulizie domestiche, ma quella che, simbolicamente, spazzava via il marciume morale e politico della città. A impugnarla, con ironia tagliente e coraggio civile, furono personaggi che hanno lasciato il segno nella storia locale: l’avvocato Salvatore Malogioglio e l’avvocato Giuseppe Grillo, eredi del medico Libertino Alaimo, l’ideatore originario del quindicinale “La Scopa”.
Nato nel lontano 1912, La Scopa fu il frutto dell’estro di Alaimo, medico anticonformista e spirito libero che soleva dire di sé: “Amicus Plato, sed magis amica veritas” — amico di Platone, ma ancora più amico della verità. Nel suo giornale, Alaimo riversò l’animo del fustigatore dei costumi agrigentini: ironico, diretto, ma sempre elegante. Celebre la sua illustrazione d’apertura, in cui un operaio spazzava via i simboli del potere di allora: il prete, il giudice, il carabiniere e il borghese. Nessuno fu risparmiato.
Con l’avvento del fascismo, però, arrivò la censura. Il 24 luglio 1923 il tipografo, per paura delle conseguenze, rifiutò di stampare il giornale. Solo dopo la guerra, con la caduta del regime, La Scopa tornò a sollevarsi nella polvere del dopoguerra.
Fu allora che l’avvocato Giuseppe Grillo, dopo una breve esperienza con il foglio “Quattro e quattr’otto”, incontrò Salvatore Malogioglio, descritto come “uomo estroverso, furbo, intraprendente, ma per certi aspetti anche bambinesco”. I due decisero di resuscitare La Scopa, acquisendo la testata per una lira e rinnovandone lo spirito critico, come promesso al vecchio Alaimo.
Il giornale si distingueva anche per il suo motto inconfondibile, stampato a caratteri cubitali:
“Questo giornale si è venduto e si venderà sempre a lire una la copia, anche a cridenza.”
Un messaggio che riassumeva il legame diretto con il popolo, poiché Malogioglio lo distribuiva personalmente in via Atenea, all’angolo con via Pirandello.
Il tono dei comizi di Malogioglio divenne presto leggendario. Le sue arringhe, cariche di sarcasmo e di passione civile, attiravano la folla e spesso dividevano l’opinione pubblica. Eppure, contrariamente a quanto tramandato da alcuni racconti popolari, occorre fare una precisazione storica importante:
Malogioglio non diceva “popolo di cornuti”, bensì “popolo cornuto” — un’espressione molto diversa, che non era un insulto, ma una denuncia amara e metaforica contro l’inganno, la sudditanza e la rassegnazione civica.
Il giornale continuò la sua missione di satira e denuncia fino all’ottobre del 1976, quando cessò le pubblicazioni.
In quel mezzo secolo, La Scopa rappresentò una voce libera, scomoda e autentica, che mise a nudo le ipocrisie del potere e la complicità del silenzio.
Come scrisse lo stesso Grillo nella ristampa curata dal Comune nel 1990:
“Abbiamo combattuto il malcostume, la corruzione, la faciloneria, l’avventurismo; non abbiamo usato la scopa di setola di don Libertino, ma un attrezzo di saggina, più rozzo e più efficace, perché la coscienza collettiva, dopo la guerra, era diventata ostica alle pulizie.”
Una lezione di coraggio e satira civile che, oggi più che mai, resta attuale.
📚 Fonte:
Tratto da “Cent’anni ad Agrigento. Dal 1900 al 1999”, con approfondimenti redazionali di Report Sicilia.