LICATA – Ogni tanto, nel nostro territorio, c’è chi alza la testa. Questa volta è toccato a Sebastiana “Anna” Bulone, licatese doc, che ha deciso di trasformare la rassegnazione in azione concreta.

La sua denuncia parte da un racconto che è il ritratto di una Sicilia ferita: radici salde, figli costretti a partire, il mare e le colline sostituite dal cemento, e soprattutto una sete antica che da decenni piega la comunità. “Là dove c’era l’erba c’è una città” – cita Celentano – ma l’acqua, quella potabile, resta un miraggio.

A Licata, l’emergenza idrica ha raggiunto livelli drammatici: turni di erogazione che in alcuni quartieri sfiorano i trenta giorni, autobotti private che consegnano acqua salmastra a prezzi esorbitanti, cittadini trattati come se chiedessero un favore e non un diritto.

L’11 agosto, Anna ha presentato un esposto ai Carabinieri contro il sindaco e l’AICA, accusandoli di interruzione di pubblico servizio, omissione di atti d’ufficio e violazioni connesse alla tutela della salute pubblica. Nel mirino non solo la gestione idrica, ma anche l’indifferenza istituzionale, le priorità distorte tra feste e sagre, e l’abbandono delle fasce più fragili.

Con amara ironia, Anna riconosce che forse i fogli della sua denuncia faranno la fine di altre segnalazioni rimaste lettera morta, come quella per la scomparsa del loculo dei nonni. Ma, stavolta, la sua voce rompe il silenzio di una città che troppo spesso si è piegata alla logica del “tirare a campare”.

Un gesto che, al di là dell’esito giudiziario, manda un messaggio chiaro: la rassegnazione non è obbligatoria.