Operazione antimafia dei Carabinieri tra Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle e San Cataldo. Fermati 13 indagati vicini a Cosa Nostra: in mano armi da guerra e controllo del territorio attraverso violenze, estorsioni e droga.

AGRIGENTO – Un nuovo duro colpo alla criminalità organizzata è stato inferto all’alba di oggi, 10 luglio 2025, dai Carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento. Con un imponente dispiegamento di forze – che ha coinvolto anche il Nucleo Eliportato Cacciatori di Sicilia e i Nuclei Cinofili di Palermo e Nicolosi – sono stati eseguiti 13 fermi di indiziati di delitto nei confronti di soggetti accusati di appartenere a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso.

Il provvedimento è stato emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo e rappresenta la prosecuzione dell’operazione dello scorso 14 gennaio, che aveva già portato all’arresto di 48 persone legate alle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento-Villaseta, ritenute capeggiate da Fabrizio Messina e Pietro Capraro.

Tra i principali indagati figura James Burgio, già detenuto e trovato in possesso, durante la detenzione, di uno smartphone utilizzato per comunicare all’esterno con altri affiliati, impartire ordini e gestire i traffici di droga, in particolare cocaina e hashish. Dall’analisi del suo dispositivo e grazie a intercettazioni audio e video, i carabinieri hanno ricostruito un’organizzazione ramificata, violenta e fortemente strutturata.

L’arsenale di Cosa Nostra

Le indagini hanno rivelato una vastissima disponibilità di armi, comprese armi da guerra. In almeno due episodi intimidatori – uno contro una rivendita di frutta e verdura ad Agrigento e l’altro contro un panificio a Porto Empedocle – è stato utilizzato un fucile mitragliatore AK-47, il noto kalashnikov, arma tipica dei contesti di guerra e criminalità organizzata di alto livello.

Atti intimidatori e violenze

Gli episodi ricostruiti sono agghiaccianti:

  • colpi d’arma da fuoco sparati contro abitazioni e negozi,

  • incendi di autovetture usati come metodo di intimidazione,

  • estorsioni a commercianti locali,

  • minacce a chi spacciava “senza autorizzazione” sul territorio.

In particolare, è emerso come l’organizzazione avesse imposto un vero e proprio controllo militare del territorio, intervenendo per punire chi non rispettava le “regole” imposte dalla cosca.

Collegamenti tra carcere e criminalità esterna

Particolarmente grave il dato investigativo secondo cui molti affiliati continuavano a gestire l’organizzazione dall’interno delle carceri, grazie a telefonini clandestini e una fitta rete di complicità.

I fermati

Tutti i 13 soggetti, tra cui alcuni già detenuti, sono stati tradotti nelle carceri di Agrigento, Palermo, Sciacca e Caltanissetta. Contestualmente sono state eseguite numerose perquisizioni domiciliari e personali nei confronti di altri indagati coinvolti nell’inchiesta.

Una mafia ancora viva

“Cosa nostra agrigentina – spiegano gli investigatori – pur fortemente colpita negli ultimi anni, resta attiva, armata, ben radicata e pericolosamente connessa con le dinamiche criminali del territorio.” Il tutto in un contesto già fragile, dove gli equilibri mafiosi sono instabili e pronti a riaccendersi in ogni momento.

📸 Nelle foto diffuse dai Carabinieri: le immagini della fuga in scooter dopo un atto intimidatorio, l’intervento delle forze dell’ordine.

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