Messina – Si è consumato oggi, 6 agosto 2025, nel carcere di Gazzi, il tragico epilogo di una vicenda già profondamente segnata dal dolore. Stefano Argentino, 27 anni, detenuto per l’omicidio della studentessa Sara Campanella, è stato trovato morto all’interno della sua cella. Secondo quanto trapelato da fonti penitenziarie, si sarebbe tolto la vita impiccandosi.
La tragedia è avvenuta nel pomeriggio, intorno alle ore 17:00. Argentino era ristretto in una cella condivisa con altri due detenuti, ma in quel momento si trovava da solo. Quando gli agenti di sorveglianza sono intervenuti, per lui non c’era più nulla da fare.
Un disagio annunciato
Le autorità carcerarie confermano che da mesi Argentino manifestava segnali preoccupanti: lunghi periodi di rifiuto del cibo, isolamento volontario e frasi esplicite riguardanti l’intenzione di farla finita. Proprio per questo, in un primo periodo era stato sottoposto a regime di alta sorveglianza, poi revocato nelle scorse settimane a seguito di un apparente miglioramento delle sue condizioni psichiche.
Una scelta – quella di interrompere le misure speciali – che adesso, alla luce dei fatti, solleva interrogativi dolorosi. Era davvero pronto per tornare alla convivenza in cella? È stato seguito adeguatamente? Poteva essere evitato?
Una doppia tragedia
La morte di Argentino riapre ferite mai rimarginate, a partire da quella inflitta dalla brutale uccisione di Sara Campanella, giovane studentessa la cui vita è stata spezzata troppo presto. Ma la sua scomparsa, ora, aggiunge una nuova pagina tragica a una vicenda già intrisa di sofferenza.
Questa vicenda interroga anche il sistema penitenziario nel suo complesso. Le carceri italiane, sempre più spesso, si trasformano in luoghi di disperazione piuttosto che di recupero. E quando un detenuto con chiari segnali di disagio psichico riesce a porre fine alla propria vita nonostante un precedente regime di sorveglianza, si deve riflettere su ciò che non ha funzionato.
Il silenzio che resta
Non ci sono comunicazioni ufficiali da parte della direzione del carcere di Messina. Sarà probabilmente la magistratura a fare chiarezza sulle modalità e le eventuali responsabilità. Ma intanto, nel silenzio delle celle, una giovane vita spezzata si somma a un’altra, in un tragico bilancio che nessuna giustizia potrà mai davvero pareggiare.
Due famiglie distrutte, due storie finite, un dolore che non si divide ma si moltiplica.