Agrigento, Miccichè si preoccupa per la rete idrica: ma le indagini rivelano un sistema che lui stesso rappresenta

AGRIGENTO – A seguito degli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria sugli appalti truccati relativi alla rete idrica, il sindaco Francesco Miccichè ha diffuso una dichiarazione che, più che chiarire, solleva nuovi interrogativi. Il primo cittadino, “riponendo piena fiducia nella magistratura”, si dice rammaricato per le ombre che potrebbero offuscare un’opera fondamentale come la ristrutturazione della rete idrica, e auspica che le indagini non ne pregiudichino la realizzazione.

Ma la domanda è lecita: sono le indagini a mettere a rischio i lavori, o è stato proprio il “sistema” che Miccichè ha contribuito a costruire a compromettere tutto sin dall’inizio?

Il paradosso di Miccichè: si preoccupa ora, ma dov’era prima?

Miccichè sa bene cosa è accaduto, perché è stato testimone diretto della perdita del finanziamento da 49 milioni di euro destinato alla rete idrica. Sa anche che per rimediare a quel disastro è dovuto intervenire il suo stesso “padre politico”, Roberto Di Mauro, già al centro dell’inchiesta e oggi indagato come “regista” del sistema di potere.

E allora perché questa improvvisa preoccupazione per un’opera che la sua amministrazione ha già compromesso nei fatti, prima ancora delle inchieste?

Appalto truccato, scrive la Procura. E lui tace.

Secondo gli atti ufficiali, la Procura della Repubblica parla chiaro: “appalto truccato”, con gare pilotate, dirigenti compiacenti e favori ad imprese collegate a centri politici ben definiti. Se così fosse – e tutto lascia intendere che lo sia – non sono le indagini a minacciare la rete idrica, ma chi ha gestito quel bando e chi ha taciuto sapendo.

E Miccichè, in tutto questo, non è uno spettatore esterno, ma una figura centrale, perché il Comune di Agrigento è il socio di maggioranza di AICA, e lui siede ai vertici sia dell’ATI che della governance dell’ente gestore. In altre parole: è parte attiva del sistema.

L’acqua “fatta mancare”: e se la Procura avesse ragione?

L’ipotesi più inquietante dell’inchiesta è quella secondo cui l’acqua sarebbe stata scientemente “fatta mancare” agli agrigentini per finalità legate alla gestione dell’emergenza e degli appalti. Se questo fosse confermato, il primo responsabile politico e amministrativo sarebbe proprio il sindaco Miccichè.

Eppure, nella sua dichiarazione, nessun accenno a questa ipotesi, nessuna assunzione di responsabilità, nessuna riflessione sulla posizione delicatissima che ricopre in AICA e ATI. Solo un generico appello alla legalità, che suona più come un tentativo di spostare l’attenzione dalle cause reali ai presunti “effetti collaterali” delle indagini.

Miccichè: è solo preoccupato, o anche coinvolto?

A questo punto la domanda è inevitabile: Miccichè è semplicemente preoccupato per il destino dell’opera? O si sente toccato – magari indirettamente – da quanto sta emergendo? Non sarà che questo appello alla “realizzazione dei lavori” sia un modo per sviare l’attenzione dai ruoli, dalle scelte, dalle omissioni?

Un sindaco che si dice preoccupato per il futuro della rete idrica, ma che non si è mai pubblicamente indignato per la perdita dei finanziamenti, per l’appalto cucito su misura, per le assunzioni sospette, per i dirigenti oggi indagati (alcuni già condannati, come Gaetano Di Giovanni). Un sindaco che, forse, oggi avrebbe fatto meglio a “lavorare in silenzio”, come spesso dice di fare, piuttosto che diffondere appelli ipocriti.


Conclusione

La città non ha bisogno di proclami tardivi, ma di verità, assunzione di responsabilità e coraggio politico. Il rischio vero non è che l’inchiesta fermi i lavori: il rischio è che si continui a far finta di nulla, lasciando il sistema intatto.

E questa volta, non sarà sufficiente scaricare la colpa su chi indaga.

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