Miccichè tenta di difendere la rete idrica, la Procura lo smentisce: “Dieci anni e solo un escavatore in azione”

AGRIGENTO – Dopo le dichiarazioni del sindaco Francesco Miccichè sulla necessità di salvaguardare la realizzazione della nuova rete idrica cittadina nonostante le inchieste in corso, è arrivata una durissima replica della Procura della Repubblica di Agrigento.

Miccichè, come riportato in un precedente articolo di Report Sicilia (leggi qui), aveva espresso “illimitata fiducia nella magistratura” ma anche il timore che le indagini potessero rallentare un’opera “attesa da decenni” e definita dal primo cittadino “strumento chiave per risolvere la crisi idrica agrigentina”.

Ma la risposta dei magistrati è stata inequivocabile: non sono le indagini a rallentare i cantieri, ma un sistema di appalti distorto da anni.


La Procura: “Indagine fondata, intercettazioni fondamentali”

“La nostra attività investigativa va avanti da oltre un anno, con prove già raccolte – si legge nella nota ufficiale – e continuerà per tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”.

La Procura di Agrigento, guidata dal dott. Giovanni Di Leo, respinge al mittente le preoccupazioni politiche e difende il ricorso alle intercettazioni come strumento cruciale per smascherare reati come la corruzione, “in cui nessuno si auto-denuncia e il silenzio regna sovrano”.

Inoltre, i magistrati criticano apertamente il quadro normativo attuale, aggravato dalla soppressione del reato di abuso d’ufficio, che prima costituiva un utile reato-spia per avviare approfondimenti investigativi su pratiche illecite.


“Rete idrica ferma dal 2015: colpa della macchina amministrativa, non della giustizia”

Nella stessa nota, la Procura smonta completamente la narrazione del sindaco: “Il rifacimento della rete idrica di Agrigento è stato finanziato con il Patto per la Sicilia già nel 2015. Sono passati dieci anni. I lavori sono stati affidati formalmente nel 2023, ma a oggi sono operativi pochi operai e un escavatore di una ditta che rappresenta appena il 12% dell’ATI aggiudicataria”.

Un riferimento diretto, pesantissimo, al fallimento non delle indagini, bensì della governance amministrativa che avrebbe dovuto vigilare, pianificare e garantire i tempi di esecuzione dei lavori.

La Procura fa nomi, date e cifre: anche il CCR di Ravanusa, progettato nel 2013, è stato messo a bando solo nel 2022 con una procedura “urgente” e un termine ridicolo di 22 giorni (18 lavorativi) per la presentazione delle offerte.


Un sistema inquinato, una rete di potere sotto inchiesta

Quella che emerge, e che Report Sicilia documenta da mesi, è una realtà in cui appalti pubblici e scelte amministrative sono state troppo spesso orientate da logiche clientelari e opache. Il sistema descritto dalla Procura è quello di una vera e propria associazione per delinquere, con figure tecniche, politiche e amministrative già ben note coinvolte in mire appropriative su opere non ancora neppure appaltate.

Mentre Miccichè chiede “legalità e garanzie sul risultato”, la Procura avverte che è proprio in nome della legalità che si procede, e che ogni struttura istituzionale è stata già attivata “per scongiurare perdite di finanziamenti e ulteriori danni per i cittadini che vedono l’acqua per strada ma non nei rubinetti”.


La giustizia risponde alla politica

Le parole conclusive della Procura sono un monito a chi ha responsabilità pubbliche: “Chi sa e ha finora taciuto, parli. Almeno in nome di quella Cultura di cui Agrigento si fregia come Capitale italiana nel 2025, e in cui dovrebbe rientrare anche il senso civico”.

Nel confronto tra la politica e la giustizia, questa volta sono i magistrati ad alzare la voce, smascherando il tentativo del sindaco di spostare la responsabilità dei ritardi su chi indaga, quando invece – come dimostrano i documenti e i cantieri fermi – le colpe vanno cercate altrove.

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