AGRIGENTO – Il principio di non colpevolezza è un pilastro dello Stato di diritto: nessuno può essere ritenuto colpevole finché non vi sia una sentenza definitiva. Questo vale, ed è giusto ribadirlo con forza, anche per le persone coinvolte nell’inchiesta che scuote la gestione della rete idrica agrigentina. Tuttavia, c’è una responsabilità più sottile, ma non meno grave: quella politica, etica e sociale.

La città da mesi vive una crisi idrica senza precedenti, eppure chi doveva vigilare, pianificare, intervenire, ha preferito gestire affari e assegnazioni piuttosto che risolvere. L’assenza d’acqua è stata la maschera dietro cui si è nascosto un sistema consolidato, dove la trasparenza è stata sostituita da scambi opachi, relazioni clientelari, incarichi distribuiti non per merito, ma per vicinanza politica o convenienza.

In parallelo con lo scoppio delle indagini, emerge una verità scomoda ma evidente: il problema non è solo idrico, è culturale. È il frutto avvelenato di anni di compromessi, in cui una cerchia di tecnici, funzionari, avvocati, imprenditori e referenti politici ha costituito una macchina di potere che ha lucrato sulla sete dei cittadini.

Nel frattempo, il cittadino comune si è lavato con bottiglie, ha visto saltare servizi essenziali nelle scuole, ha pagato di tasca propria le inefficienze di un sistema costruito per servire pochi. Tutto questo mentre si facevano annunci, promesse, piani mai partiti e tagli di nastri che servivano solo a mascherare l’inazione.

In questo scenario, ci si aspetterebbe che l’amministrazione comunale, a partire dal sindaco Francesco Miccichè, decida di tutelare gli interessi della città, costituendosi parte civile già nella fase delle indagini. Sarebbe un gesto simbolico, ma potente, per prendere le distanze da un passato ingombrante. Ma finora, tutto tace.

La verità più amara è che la miseria di Agrigento non è una casualità: è un progetto. Un progetto portato avanti da chi governa e gestisce con logiche di convenienza, da chi ha trasformato il disagio collettivo in opportunità privata. E non si tratta di un gruppo sconosciuto: sono una minoranza sociale, ma costituiscono la maggioranza politica.

E mentre loro parlano di bandi, eventi e riqualificazioni, la gente resta senza acqua, senza diritti, senza voce. Agrigento è oggi ostaggio di questa struttura di potere, che vive del silenzio e della rassegnazione altrui.

Noi non ci rassegniamo. Continueremo a indagare, a denunciare, a informare. Perché la sete di verità è più forte dell’omertà.