di Rocco Agnone*

In anteprima al congresso di “Italia Viva”

Nell’attuale momento storico contraddistinto, tra l’altro, dalla prosecuzione della rovinosa guerra in Ucraina, con tutto il contorno di posizioni ispirate dalla vecchia logica della guerra, merita di essere scoperto il grande valore delle idee e dell’azione di G. La Pira, già sindaco di Firenze. Si tratta di una personalità da porre ai vertici dell’azione pacifista in Italia e nel mondo e le cui idee ed opere mantengono intatta la loro attualità. La Pira premetteva alla sua complessa posizione un preciso giudizio sull’epoca in cui viveva e in cui sarebbero vissuti gli uomini. Per lui si trattava, per l’apparizione e la diffusione dell’arma atomica associata alla presenza di una serie di fattori negativi, di un’epoca apocalittica, un’epoca cioè nella quale poteva verificarsi, per effetto di scelte umane, o la distruzione (suicidio) dell’umanità o la liberazione di essa da tutto ciò che la pone in condizioni di umiliazione. Questo quadro storico, a suo avviso, implicava la necessità di “una vera rivoluzione nei criteri e nei metodi della vita politica, economica, sociale e culturale del mondo”. Peraltro, nell’ambito di questa rivoluzione un posto di rilievo spetterebbe al cambiamento dei metodi economici. Nell’intervento in un convegno del 1961 sulla politica internazionale degli Stati Uniti egli pone al sig. Schlesinger, consigliere di J. Kennedy, la seguente domanda:” Bisogna o no cambiare strutturalmente il sistema economico mondiale per metterlo in grado (finalizzarlo) di rispondere alla irrecusabile ed improrogabile promozione economica, sociale, culturale, ecc. di tutte le classi sottosviluppate e di tutti i popoli sottosviluppati?…Non sta proprio  nella realizzazione di questa promozione uno dei punti essenziali (dei “fortilizi” essenziali) della nuova strategia di pace?”. Ed ecco profilarsi il valore molto denso che aveva per La Pira la pace, concepita non solo come mera cessazione dell’uso delle armi, ma avente una ricchezza di contenuti operativi. Intanto, ispirandosi a quell’antico profeta della pace e della rivoluzione del sistema religioso ed economico della sua nazione, cioè Isaia, ritiene che “le spade vadano trasformate in aratri e le lanci in falci”. Ritiene, quindi, che tutte le risorse che sono sprecate per guerreggiare vadano utilizzate per “lo sradicamento della miseria, della disoccupazione, dell’ignoranza, cioè per l’elevazione pluridimensionale di tutti i popoli. La pace, in ultima istanza, è la premessa fondamentale del progresso del mondo (“L’unica guerra legittima”, dice, “è la guerra contro la depressione economica, sociale, culturale e politica dei popoli di tutto il mondo”). La scelta della pace “investe la struttura intiera (nei suoi fondamenti fermi) della civiltà e della società umana”. Di conseguenza la pace non riguarda solo la più distruttiva delle guerre, quella atomica, ma anche quelle, molto proliferate, a livello locale. In un articolo sull’obiezione di coscienza, nel quale sostiene le posizioni di padre Balducci e di don Milani, La Pira afferma che se la guerra nucleare non si può fare per il suo carattere distruttivo “anche le guerre particolari perdono il loro significato, appaiono quali sono: atti contraddittori del corso storico!”. E in un intervento che fece a Belgrado nel 1965 dichiara:” In questa nuova età politica (e, perciò, militare) atomica entrano in radicale crisi, a tutti i livelli, le tecniche sottili delle scalate delle guerre contenute, delle guerre calcolate e così via…”. E ancora in un articolo del 1967 sottolinea un’esigenza urgente:” Perché non dare al mondo presente una prova del grande fatto che specifica l’attuale età storica : del fatto, cioè, che la guerra anche locale non risolve, ma aggrava i problemi umani; che essa è ormai uno strumento per sempre finito; e che solo l’accordo, il negoziato, l’edificazione comune sono gli strumenti che la Provvidenza pone per costruire una storia nuova e una civiltà nuova?”. Poi perentoriamente esclama: “Ma se la guerra totale è impossibile, le guerre parziali, che sono per loro natura destinate a quella totale, non possono non essere, …qualunque sia la ragione ideologica che tenti di giustificarle, che operazioni antistoriche, atroci ed inutili!”. E antistorica, atroce e inutile viene considerata da La Pira la guerra in Vietnam per “le rovine umane, fisiche, sociali, economiche, politiche prodotte”. Guerra che gli suscita una precisa domanda:” Perché continuare in questa triste vicenda? Con quale scopo? La vittoria militare?”. Domanda a cui risponde che “è ridicolo -se non si trattasse di cosa tanto tragica- pensare ancora in questi termini la storia presente, anche militare del mondo!”, Rivolgendosi, inoltre, agli Stati Uniti, autori dell’invasione di una nazione di “contadini”, afferma:” Bisogna dirlo con fermezza e senza esitazioni: il destino storico degli Stati Uniti non è quello militare della guerra e della distruzione: è quello scientifico e tecnico della pace e dell’edificazione!”.  Forse questo destino si è successivamente realizzato? La pace, fonte di progresso è forse diventata il motivo dominante della politica e dell’economia americana nel mondo? La logica della guerra non appartiene più agli Stati Uniti? Sono domande che sollecitano di evidenziare anche le posizioni di La Pira riguardo al ruolo dell’Europa e della NATO e ciò che è accaduto dopo di lui. Nella relazione che La Pira tenne a Berlino nel 1969 nel corso dell’ultima sessione del Consiglio mondiale della pace sostenne:” Perché, infatti, furono creati NATO e Patto di Varsavia? (cioè perché fu atomizzata l’Europa?). Perché si partì dalla premessa che l’Europa avrebbe costituito il terreno di scontro nucleare fra le due superpotenze”. Da ciò emerge la necessità dell’idea di un’Europa” liberata dai due blocchi e trasformata da terra di contesa (“terra presignata per la 3° mondiale: terra della Nato e del Patto di Varsavia) in terra di pace, in tenda di pace: punto di partenza della descalation mondiale e, perciò, del negoziato, della unità e della pace mondiale”. Ma per La Pira tale auspicio richiede di “alleggerire i rapporti tra NATO e Patto di Varsavia, anzi di “togliere dall’Europa e dal Mediterraneo le due tende del terrore (la NATO e il Patto di Varsavia)”. Si aprirebbe, quindi, un capitolo nuovo nella storia dell’”Europa intiera”, luogo in cui “la separazione è stata più violenta e profonda” (si vedano le due guerre mondiali), quello “di pacificare ed unire l’Europa per pacificare ed unire il mondo”. Ed in verità c’è stato un successivo momento storico nel quale si sono create le premesse per dare attuazione ad una tale grande visione politica. Si è trattato del crollo del muro di Berlino, della disgregazione dell’URSS con conseguente capitolazione del Patto di Varsavia. Si è trattato, purtroppo, di un momento storico le cui potenzialità positive sono state sprecate e che ha visto gli Stati Uniti mancare di interpretare quel ruolo di promotori della pace che, come si è visto, La Pira auspicava che scegliessero. Rispetto al dilemma prospettato da La Pira non hanno forse continuato a far persistere la logica dell’inaccettabile guerra del Vietnam? La logica di un supercapitalismo che deve invadere il mondo e al cui servizio anche le armi sono accettabili? La Nato non solo non è stata almeno “alleggerita” ma, in mancanza del Patto di Varsavia, si è estesa ai confini della Russia assumendo palesemente anche una posizione tutt’altro che meramente difensiva (si ricordino ad esempio le azioni militari degli anni novanta del novecento in Jugoslavia). Una presenza così invadente non ha certamente consentito all’Europa quella pregevole politica autonoma tanto auspicata da La Pira. Poteva aprirsi nel mondo un’epoca nuova improntata a criteri e metodi diversi.

A proposito di criteri e metodi nuovi non può non essere fatto alcun cenno al metodo della non violenza, che oggi andrebbe ancor più sottolineato di quanto non si faccia. Il pensiero di La Pira al riguardo emerge con molta incisività soprattutto nella splendida relazione che tenne nel 1969 a Budapest in occasione della celebrazione del centenario della nascita di Gandhi. La Pira condivide entusiasticamente la posizione di Gandhi ed alcune sue affermazioni fondamentali: “Non vi è speranza per il mondo sofferente se non sulla via stretta e diretta della non violenza”; “La non violenza è la forza più grande di cui disponga l’umanità. È più potente della più potente arma di distruzione escogitata dalla ingegnosità dell’uomo”. Per La Pira “si tratta di trasformare qualitativamente la civiltà del mondo, passare dalla civiltà costruita in vista della guerra ad una civiltà costruita in vista della pace”. E per realizzare tale obiettivo “la tecnica organizzata della non violenza dei forti (pressione sindacale, culturale, politica, etc.) contesta il sistema del mondo: essa è, per via pacifica, liberatrice dalle oppressioni e dalle ingiustizie del mondo”. Di conseguenza La Pira sostiene che l’appello  gandiano debba essere accolto. “Esso non è facoltativo: ogni argomentazione contraria per respingerlo è priva di ogni fondamento scientifico, tecnico, storico, militare e politico”. Insomma “la non violenza è la forza più grande di cui disponga l’umanità”. Questi forti accenti sulla validità della non violenza attiva non possono non essere collegati all’invasione russa. Certamente un aspetto importante da considerare è se una diversa politica ucraina e occidentale negli anni precedenti alla invasione russa, anch’essa espressione della vecchia logica della guerra, avrebbe potuto evitarla. Ma in ogni caso, pur di fronte alla decisa censurabilità di un intervento del tutto inappropriato, la reazione non violenta attiva sarebbe stata per tutte le ragioni sopra evidenziate preferibile decisamente rispetto a quella armata. Avrebbe evitato  notevoli danni a livello di vite umane e a livello di beni materiali, avrebbe particolarmente consentito, a quelli che hanno perso la vita, di vivere e, per quanti lo avessero voluto, di impegnarsi nelle azioni di non violenza attiva magari cercando un proficuo dialogo con la componente russofona del paese. I critici attuali del pacifismo sostengono che la suesposta non violenza è una resa mentre va esaltato il grande valore della resistenza armata. Già l’uso del termine resa appartiene al vecchio linguaggio della guerra. Ma, poi, bisogna anche chiarire di quale resistenza si tratta. È la concreta resistenza decisa da Zelensky e dal gruppo di potere che lo attornia. Tale resistenza ha previsto, tra l’altro, il coinvolgimento, elevandoli ad eroi, dei combattenti del gruppo neonazista Azov, già censurato pesantemente dall’OCSE e da Amnesty. Vista, poi, la notevole minorità militare nei confronti della Russia, Zelensky ha richiesto incessantemente la partecipazione alla guerra, con invio di armi e consulenti, di altri paesi e della NATO, peraltro già attiva prima dell’invasione e, consulente, molto autorevole, del presidente ucraino. Una resistenza che opera, dunque, per l’estensione del conflitto armato predisponendo inevitabilmente l’Europa, piena delle testate atomiche e della NATO americana e della Russia, al rischio della guerra atomica. Un tipo di resistenza, insomma, che allontana decisamente l’Europa da quell’Europa, “tenda della pace”, tanto auspicata da La Pira. Alla luce di ciò la non violenza attiva appare come la scelta che sarebbe stata alla lunga più efficace e avrebbe conferito alla resistenza un carattere ben più democratico. Inoltre, alla luce di quanto si è detto della visione di La Pira, il continuo invio di armi o di consulenti militari da parte di altre nazioni è delegittimato da motivi ulteriori rispetto a quelli che emergono dall’odierno dibattito in materia.

Le ultime considerazioni su G. La Pira debbono essere di tipo operativo. Date le sue idee sul mondo e la storia (storia che necessariamente deve procedere provvidenzialmente verso il punto omega, teorizzato da T.De Chardin, approdo di una umanità che coabita pacificamente e che raggiunge la pienezza della sua realizzazione), come ha operato di fronte alle contraddizioni della realtà concreta del suo tempo? Come ha operato chi ha ritenuto che “il genere umano (o meglio i politici ed i militari che purtroppo lo guidano!) ha in mano il non essere”? Come ha operato chi ha ritenuto che “lo schieramento delle due parti in conflitto è ben definito: popoli sviluppati e popoli sottosviluppati, industrializzati e non industrializzati; popoli contadini e non contadini; ricchi e poveri; in servitù e liberi?  Come ha operato chi ha ritenuto che “ora si tratta specialmente di…operare dal basso attraverso l’azione coordinata, metodica, sapiente, efficace delle città grandi e piccole del mondo”? Ha operato intervenendo con altri rappresentanti popolari in molte parti del mondo con precise proposte per superare eventi drammatici; rendendo Firenze, di cui era sindaco, il centro operativo più incisivo nel perseguimento della convivenza pacifica e del disarmo tramite l’organizzazione di diversi incontri  tra i rappresentanti di diversi popoli (da ricordare quelli tra tutti i popoli del Mediterraneo); organizzando l’incontro delle città capitali del mondo e il gemellaggio di città appartenenti a culture diverse o a paesi in conflitto tra loro. Relativamente a quest’ultimo tipo di incontri, meritano di essere ricordate le motivazioni a loro sostegno. Secondo La Pira “spetta alle città e ai loro popoli- come veri protagonisti della storia nuova del mondo- accompagnare e sospingere tutte le iniziative di unità, di convergenza e di coesistenza che si manifestano…in Europa e negli altri continenti”. Da questa consapevolezza La Pira trae un motto significativo che pronuncia nell’eccellente relazione tenuta a Leningrado nel 1970 durante il convegno delle “Città unite” di cui era presidente. Il motto è il seguente:” Unire le città per unire il mondo”. Nella sua visione tutte le nazioni debbono, quindi, avere un ruolo da protagonista tanto da fargli condividere con entusiasmo l’affermazione di J. Leclercq:” Il punto di appoggio dell’universo, il punto di Archimede, potrebbe essere fra mezzo secolo l’Estremo Oriente e l’America del Sud”.

In una realtà, come quella attuale, nella quale il reale conflitto è tra i poteri che in qualsiasi parte del mondo vogliono continuare a dominare e chi è, come la Pira ha sottolineato, affamato e in servitù, la sua lezione, tesa alla promozione della dignità di tutti gli uomini, merita di trovare attenzione se si vuole operare per tentare di indirizzare la storia nell’unica direzione possibile e, quindi, accettabile.

*già Provveditore agli Studi di Ragusa

 

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