Un libro di Aldo Sarullo con prefazione di Matteo Collura

Latitudine Palermitana” è un libro scritto da Aldo Sarullo, regista, drammaturgo, sceneggiatore italiano, autore teatrale e televisivo e docente in varie istituzioni. Sarullo è soprattutto palermitano in una città sfiorata da quel 38esimo parallelo sul quale è stata scritta (e continua a scriversi) la storia del mondo contemporaneo. E non solo.  Per rendervene una idea è il parallelo che passa per Reggio Calabria, Seul, Smirne, Atene, San Francisco, Cordova e sfiora Palermo con i suoi: 38°07′55″ N. Una piena “Latitudine palermitana” dove Sarullo narra la sua iniziazione alla vita in una città tra le più dure nello svezzamento degli esseri umani e in pagine spesso tutt’altro che delicate. Di questo “thriller dell’anima” lo scrittore agrigentino Matteo Collura ne ha scritto la prefazione.

“Tutto che nella vita ci accade – anche quel che sembra accadere per forza di circostanze esterne, imprevedibilmente e casualmente – si può dire che è accaduto nei primi dieci anni: nel senso che già nei primi dieci anni della nostra vita se ne può tro­vare il presentimento, la premonizione, la prefigu­razione, il seme. Noi siamo, nel nostro essere e nel nostro modo di essere, quel che i luoghi, le perso­ne, gli avvenimenti e gli oggetti hanno suscitato, disegnato e fissato in quei primi dieci anni dentro di noi”.

Così scrive Leonardo Sciascia in un “appunto” dedicato a Gustave Flaubert e al suo romanzo meno conosciuto, ancorché capolavoro da tenere sempre a portata di mano, Bouvard e Pécuchet.  Noi siamo quel che siamo stati nei primi nostri dieci anni di vita: mi è venuto di ricordarlo e di ripetermelo – e per questo ho fatto cenno all’ap­punto di Sciascia – nel leggere queste pagine che vi accingete a sfogliare. È certo è un caso che, con­temporaneamente, io stessi rileggendo – cosa che faccio di tanto in tanto – proprio Bouvard e Pécuchet. Ma non è un caso che Aldo Sarullo, proprio in que­sto suo libro, citi lo Sciocchezzaio di Flaubert. C’è del metodo in questa casualità, direbbe Savinio. In questo diario di un’iniziazione – questo leg­gerete – c’è il dramma, l’allegria, il senso e il nonsenso dell’esistenza, dei suoi insondabili misteri. Ha mano leggera l’autore, anche quando ricorda e narra è tutt’altro che delicato. Tanto più che il luogo in cui il protagonista di questa storia è venuto al mondo e si è svezzato (ammesso ci si vezzi soltanto da bambini), è Palermo, città tra le più dure nello svezzamento degli esseri umani E tra le più diseducative dal punto di vista del vive­re sociale e del rispetto per gli altri (vale a dire l’e­vangelico, civile rispetto per il prossimo). Palermo: al narratore bastano pochi accenni per fotografarla in primo piano e sullo sfondo, per ren­derne il carattere di chi la abita, di chi a tutti i livel­li la rappresenta, di chi giorno dopo giorno la vio­lenta, la sfregia mentre la blandisce, e alla fine, come un inconsapevole Otello, da morta se ne gode la bellezza. La superbia dei palermitani, tiene a far risaltare Sarullo. E la conosco bene, perché a Palermo ho vis­suto da ragazzo, studente, in anni in cui tra un agri­gentino come me e un palermitano c’era la stessa dif­ferenza che corre tra un sempliciotto di campagna e uno scafato abitante di una tentacolare metropoli. Ho scritto altrove che i popoli conquistati solita­mente spariscono, come gli indiani d’America, disciolti in razze che più o meno marcatamente ne conservano le tracce. I siciliani, e in primo luogo i palermitani, non sono spariti.

Hanno scelto di adat­tarsi, e in questa forma di resistenza hanno rag­giunto livelli altrove inimmaginabili. Per questo l’alito di selvatica violenza che promana dalle peri­ferie, giunto in faccia agli altezzosi palazzi dove il potere celebra sé stesso, o di chi, ogni giorno che Dio manda in terra non deve inventarsi di che cam­pare, si stempera in una fierezza che non ha limiti, furbescamente mascherata dall’indifferenza che cela sedimentato disprezzo: tutto scritto, con pulita e semplice sintassi, in questo libro. L’autore ha avuto la ventura di nascere in un’e­poca in cui la Sicilia viveva una sorta di attardato medioevo. Una generazione privilegiata, da questo punto di vista, la sua e di quanti hanno imparato a conoscere la vita nei giorni grami del dopoguerra. Raramente mi è capitato di leggere un romanzo costruito con una scrittura così controllata, così essenziale, eppure così espressiva, così narrativa­mente efficace. E sempre sostenuta dall’ironia, una benedizione specie per chi narra di sé stesso.

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