La Pasqua, giorno della Risurrezione, cade nella domenica che segue il plenilunio successivo all’equinozio di primavera ed è preceduta dalla Settimana Santa in cui è il commento dei fatti riguardanti la passione e la morte in croce di Cristo, la sua Sepoltura e la Risurrezione dalla morte.
Il giovedì, venerdì e sabato costituiscono il Triduo Sacro in cui vi è la recita delle preghiere.
Nel corso della sera del Sabato Santo, durante la grande veglia o vigilia notturna, si passa per grado dal lutto alla gioia della Risurrezione.
Vorrei soffermare la mia riflessione proprio su questo passaggio che in psicologia ha un grande significato, perché il passaggio dalla morte alla vita ha un energia propulsiva che porta all’esistenza, al rinnovamento, al cambiamento, alla guarigione e così alla gioia.
Si provi a pensare a quante persone trascorrono un periodo molto intenso e difficile, in cui magari è avvenuto un importante lutto, la perdita di una persona o di un lavoro.
Pensiamo a come ci si sente devastati, distrutti.
Quel dolore ha bisogno di sostegno e cura.
Necessita di un tempo, un periodo in cui avvengono dei passaggi, dall’incapacità di agire, alla rabbia, alla malinconia, al dolore del ricordo prima della rinascita.
Tutto questo ha un tempo personale che va rispettato e supportato fin quando pian piano l’oscurità si dissolve e una rinnovata forza comincia a scorrere come una linfa rigeneratrice che porta a una nuova vita, in cui per forza di cose rimane quell’ esperienza, che non va negata, ma elaborata.
È una rinascita, che può riflettersi nel simbolo della Risurrezione pasquale, in cui Gesù risorge dalla morte e riflette gioia alla vita e a tutti, dopo il doloroso sacrificio.
Il passaggio dalla morte alla vita caratterizza la storia di ogni essere umano, ogni volta che, resiliente e come una fenice che rinasce dalle ceneri, si rialza dopo un’ avversità o un fallimento.
Per questo motivo nel periodo che precede la Pasqua è utile collegarsi all’energia del sacrificio, ma non legandosi al sacrificio dell’altro e quindi poi dell’agnello, ma rivolgendolo a noi stessi e scegliendo di sacrificare qualcosa che vogliamo cambiare.
Io consiglio, in un percorso di crescita personale, quel “qualcosa” che squilibra la nostra vita, identificandolo e poi costruendo una soluzione che possa donare nuova felicità.
Per esempio, se viviamo una relazione che ci fa soffrire, la si potrebbe interrompere oppure attivare una richiesta di aiuto.
Oppure se scopriamo che il nostro lavoro ci rende infelici, possiamo pensare di mettere in atto un cambiamento, che necessiterà di prudenza e passaggi consapevoli.
Un esercizio potrebbe essere quello di scrivere su un foglio tre aspetti della vita che vogliamo mutare, per poi, il giorno di Pasqua, scrivere su un nuovo foglio, quello da cui abbiamo intenzione di iniziare.
Quindi, l’idea diverrà progetto e per questo motivo è necessario che sia fattibile e non impossibile da realizzare.
Psicologicamente è più utile e sano un lavoro su se stessi piuttosto che sacrificare l’altro, intendendo il sacrificio come attivazione di uno sforzo volto a un cambiamento.
La fatica verso un obiettivo di felicità, credo possa divenire un esercizio per ben connettersi maggiormente alla gioia di una tavola colorata e ricca di affetti, attorno a cui festeggiare una rinascita e una crescita.
Dottoressa Anna Maria Tranchida, psicoterapeuta