Quattro anni e 8 mesi di pena, ⁠interdizione perpetua dai pubblici uffici e incapacità a contrarre in perpetuo con la P.A, ⁠risoluzione del rapporto di lavoro, ⁠confisca definitiva del profitto, 5000 euro di risarcimento totale del danno in via equitativa in favore del Comune di Santa Elisabetta, 2160 di spese legali oltre accessori come per legge. Questa la sentenza emessa pochi istanti fa dal Tribunale di Palermo nel processo con il rito abbreviato, a carico di Gaetano Di Giovanni e altre due persone, Michela Sclafani, ex dirigente (subito sospesa dal servizio) della Città Metropolitana di Palermo (l’omologa di Di Giovanni) e il marito di lei, Giovanni Dalia che hanno scelto di essere giudicati alla luce degli atti fin qui raccolti nell’inchiesta. I due palermitani sono stati condannati a 2 anni di reclusione. Per l’ex comandante dei vigili urbani di Agrigento e capo di gabinetto del sindaco Francesco Micciché l’accusa era  di corruzione. Per i coniugi la richiesta avanzata dal pubblico ministero fu di due anni, oltre tutte le pene accessorie. Per Di Giovanni, la richiesta era stata di 5 anni, oltre pene accessorie e cessazione del rapporto di lavoro.  Parte civile nel processo in corso è il comune di Santa Elisabetta, rappresentato dall’avvocato Elisabetta Fragapane. Il Comune di Agrigento ritirò la propria costituzione di parte civile, dopo avere incassato 7500 euro come risarcimento da parte dello stesso Di Giovanni, assistito dall’avvocato Marcello Montalbano. L’uomo venne arrestato l’11 aprile scorso e posto ai domiciliari. Di Giovanni, 59 anni, all’epoca dirigente del distretto socio-sanitario di Agrigento, era accusato di aver favorito l’affidamento di servizi socio-assistenziali a due cooperative: Medea (per 204.051 euro) e Nido d’Argento (per 89.355 euro), non ad Agrigento. In cambio – secondo gli inquirenti – avrebbe ricevuto una tangente complessiva di 7.500 euro, suddivisa in almeno tre tranches. “Mai preso soldi da nessuno, in quei fascicoli non c’erano banconote ma solo documenti. Inoltre, in qualità di dirigente coordinatore, non avevo responsabilità sugli atti, come invece il responsabile del procedimento” ebbe a dire l’uomo, durante le dichiarazioni spontanee che gli fu concesso di effettuare, in una delle ultime udienze. Chiarimenti che, alla luce del verdetto, non hanno convinto i giudici. Da vedere a questo punto le ricadute anche politiche sul Comune di Agrigento.

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