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Chiesta la revoca dei provvedimenti per arrivare a nuovi emungimenti, il sindaco: “Le misure previste oltre a essere del tutto insufficienti, avranno come unico effetto quello di abbassare ulteriormente il livello della falda del bacino provocando, quindi, un danno irreversibile a fronte di un beneficio limitato e solo temporaneo”

Scavare nuovi pozzi o riaprirne alcuni che erano stati dismessi “per comprovata interferenza con il pozzo Prisa, l’unico ad alimentare direttamente l’acquedotto di Santo Stefano Quisquina”. È parlando di “effetti disastrosi sui già delicati e compromessi equilibri ambientali e idrogeologici” che il sindaco Francesco Cacciatore ha chiesto, a tutti gli enti coinvolti, di “revocare il provvedimento per la realizzazione di un nuovo pozzo in contrada Monnafarina e a ritirare la “provocatoria, assurda e fuorviante richiesta della riattivazione dei pozzi Margimuto, ex Montedison, già dismessi per comprovata ed inconfutabile interferenza con il pozzo Prisa”. Parole che, di fatto, segnano la “guerra” intestina – ognuno cerca di difendere il proprio diritto alla sopravvivenza – fra istituzioni. 

Santo Stefano Quisquina esercita a tutt’oggi in forma autonoma la gestione del servizio idrico Integrato attraverso un utilizzo efficiente della risorsa idrica. Ma in ossequio ai principi di solidarietà e pubblicità delle acque il Comune di Santo Stefano Quisquina ha da sempre fornito il maggior contributo di risorse idriche di qualità: 460/600 litri di acqua al secondo, ricorda il sindaco Cacciatore. “Numeri inconfutabili del contributo in termini di risorse idriche che da questo territorio viene condiviso con la popolazione della provincia agrigentina, un patrimonio comune di straordinaria importanza che tutti noi abbiamo il dovere di rispettare in ossequio ai nuovi equilibri idrogeologici, ambientali ed etici”.

Lo stato di emergenza per il grave deficit idrico ha previsto il progetto per realizzare il pozzo Monnafarina e una condotta di adduzione all’acquedotto Voltano. “Tra le richieste avanzate con un documento inoltrato all’Ati e al prefetto di Agrigento da alcuni sindaci del consorzio ‘Tre Sorgenti’, primo firmatario il sindaco di Campobello di Licata, c’è la riapertura dei pozzi Margimuto, ex Montedison, dismessi – ricorda Cacciatore – per comprovata interferenza con il pozzo Prisa, l’unico ad alimentare direttamente l’acquedotto del nostro comune. Queste richieste sono l’ultimo atto di una politica delle acque sconsiderata che – sbotta l’amministratore – non valuta l’impatto e il danno ambientale a cui andranno incontro i cittadini stefanesi e in prospettiva tutte le popolazioni dell’area dei Sicani che da decine di anni ricevono l’acqua dai bacini della Serra Leone-Quisquina e dall’area Fanaco. Provvedimenti che ignorano i risultati delle perizie scientifiche sull’unicità del bacino imbrifero condiviso con la sorgente Capo Favara, che di fatto trasgredisce le più elementari regole di salvaguardia delle risorse idrogeologiche, la cui integrità è (o dovrebbe essere) tutelata dalle leggi”. Cacciatore, così come deliberato in Consiglio, interpretando le concrete e motivate preoccupazioni della cittadinanza, ha portato a conoscenza di tutti gli enti coinvolti studi universitari specifici che hanno dimostrato che “il bacino di alimentazione della sorgente Capo Favara si estende per circa 48 kmq e comprende l’area di contrada Monnafarina dove si vuole realizzare un ulteriore pozzo e ha il cuore del bacino lungo la stessa direttrice sulla quale ricadono i pozzi Margimuto”.

“Le misure previste oltre a essere del tutto insufficienti, avranno come unico effetto quello di abbassare ulteriormente il livello delle acque di falda del bacino provocando, quindi, un danno irreversibile a fronte di un beneficio limitato e solo temporaneo – spiega il sindaco di Santo Stefano Quisquina – .  In questo senso, un enorme danno è stato già inferto dal collegamento Leone-Fanaco attraverso l’escavazione di una galleria che ha intercettato la falda acquifera abbassando di diversi metri la piezometrica nella parte centrale dell’acquifero causando un depauperamento irreparabile delle risorse idriche. L’essicamento della sorgente Capo Favara ne è la prova e testimonianza inconfutabili”. Di fatto l’escavazione di ulteriori pozzi all’interno del bacino della Quisquina, che potrebbero compromettere il già precario equilibrio, viene definito “pericoloso”. Per l’amministrazione del paese montano si deve, inoltre, anche tenere “conto che negli ultimi anni alcune sorgenti hanno diminuito la loro portata”. “La Regione non tenendo conto dei pericoli e degli effetti pregiudizievoli arrecati alle popolazioni che usufruiscono dell’acqua attinta dall’imbrifero, ampliando a 332 ettari l’area di ricerca di acque minerali, ha già consentito alla società Platani Rossino di poter procedere all’escavazione di nuovi  pozzi per la ricerca di acque minerali, proprio all’interno del bacino idrogeologico della Quisquina ad una distanza di circa 800 metri dai pozzi che forniscono l’approvvigionamento idrico di acqua potabile alle popolazioni di Santo Stefano Quisquina e di molti altri Comuni dell’Agrigentino. Perfino l’allora ente gestore Eas, con nota ufficiale del 4 agosto 2000, ha avvertito che ‘eventuali emungimenti da contrada Margimuto andrebbero a sfruttare le risorse idriche del citato complesso acquifero con riflessi pregiudizievoli per l’approvvigionamento idropotabile del Comune’. Dai dati relativi alla concessione mineraria di acque minerali denominata ‘Margimuto’ ditta Aqua Vera Spa, che vengono trasmessi mensilmente dal distretto minerario di Caltanissetta all’ufficio del genio civile di Agrigento e per conoscenza al Comune di Santo Stefano Quisquina e al dipartimento dell’Energia, appare evidente lo sfruttamento della falda in questi ultimi anni, in cui si registra un preoccupante calo”. 

Ed ancora, il sindaco spiega: “Appare evidente che, mentre in passato, in condizioni di regolare piovosità stagionale, i livelli di falda si ristabilivano facilmente, dal dicembre 2022 assistiamo a un calo costante del livello statico del bacino certamente a causa del periodo siccitoso. Uno sfruttamento scriteriato dell’attingimento, mediante lo sfruttamento e l’accanimento sullo stesso bacini imbrifero, porterebbe a un ulteriore abbassamento generalizzato del livello idrico. Determinerebbe, oltre al possibile prosciugamento dei pozzi e delle sorgenti, pericolosi dissesti idrogeologici. Di fatto, in diverse zone del territorio già si notano evidenti cedimenti sia dei terreni che dei fabbricati isolati a causa dell’abbassamento dei livelli di falda. Gli studi in definitiva hanno messo in evidenza la situazione di precarietà di una grossa falda idrica la cui utilizzazione è divenuta estremamente delicata e può essere attuata solo tenendo sotto continuo controllo e verifica tutto il sistema in modo da stabilire in maniera rigorosa le effettive possibilità di emungimento”. Ed ecco dunque che secondo l’amministrazione comunale di Santo Stefano Quisquina, “l’attivazione di ulteriori  pozzi, interferendo con le emergenze idriche spontanee del bacino già ampiamente utilizzate dai comuni afferenti ai consorzi Voltano e Tre Sorgenti, dall’acquedotto consorziale Alessandria-Cianciana, andrebbe a impoverire ulteriormente la falda idrica con il concreto rischio di ‘provocare altri danni incalcolabili sul futuro dell’acquifero’, mettendo in pericolo la sopravvivenza dello stesso, che potrebbe subire, con effetti di lunga durata, un gravissimo dissesto idrogeologico”.

Santo Stefano Quisquina è intenzionata, senza se e senza ma, a difendere il suo bacino imbrifero e le sorgenti ad esso collegate. “Il nostro, consapevoli della drammatica condizione in cui vivono tanti paesi a cui è destinata l’acqua del bacino, non è un atto egoistico, ma volto alla tutela e alla conservazione di un bene proprio ed è un’azione mirata a preservare le risorse necessarie per un futuro che si paventa rischioso ed incerto”.

 

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