di Zino Pecoraro

foto di Diego Romeo

 

Leonardo Sciascia, acuto e intelligente interprete dell’opera pirandelliana, aveva – a suo tempo – già indicato una possibile chiave di analisi di una certa parte dell’opera dello scrittore agrigentino: quella proposta da Pirandello in alcune opere scritte attorno agli anni Trenta. In alcune di queste opere lo scrittore larvatamente criticava il fascismo ed ironizzava sulla sua monumentalità verbale. 

In una certa fase della sua produzione, Pirandello – in fondo – riteneva che una società gerarchizzata sulla base di rigorosi, definiti criteri sociali, economici, culturali poteva andare bene più di quanto potesse fare il collettivismo o una organizzazione democratica e rappresentativa. Alcune pagine de “Il fu Mattia Pascal” – in questa direzione – sono abbastanza eloquenti. Ma l’adesione al fascismo con la famosa lettera inviata a Mussolini, subito dopo l’assassinio di Matteotti, rientrava nella fattispecie di un “coup de théatre” e rappresentava il dazio che un uomo pubblico non poteva fare a meno di pagare per continuare a godere dei consensi del pubblico e delle autorità. 

Eppure, – come osserva Sciascia – è possibile individuare una sottile linea che denota una sotterranea, intelligente contestazione del nucleo dottrinario e pubblico dello stesso fascismo. Sciascia individua in una novella pirandelliana intitolata “C’è qualcuno che ride” una precisa ed inequivocabile caduta della tensione eroica ivi descritta: si svolge una adunata (e la parola usata era di chiaro stampo fascista) che prevede la massima serietà e l’autocontrollo; eppure, l’improvvisa irruzione del riso produce nell’ottica del “carnevalesco” la destabilizzazione dell’impalcatura seriosa.

Ancora più evidente è la contestazione del fascismo ne “I Giganti della Montagna”. Chi sono i Giganti? “L’opera a cui si sono messi lassù, l’esercizio continuo della forza, il coraggio che han dovuto farsi contro tutti i rischi e pericoli d’una immane impresa, scavi e fondazioni, deduzioni d’acque per bacini montani, fabbriche, strade, colture agricole, non han soltanto sviluppato enormemente i loro muscoli, li hanno resi naturalmente anche duri di mente e un po’ bestiali.” (L. Pirandello, Maschere nude, vol. II, p. 1360).

La delicata e fragile protagonista, paladina dell’arte, Ilse si spende per salvare un’umanità degenerata, “dura di mente”, e si fa portavoce della missione pedagogica dell’arte. Ma la risposta non tarda a venire. I Giganti delegano ai loro servi la fruizione della rappresentazione teatrale. I servi, ancora più abbrutiti dei loro padroni, fanno scempio del corpo di Ilse, cioè dell’arte.

Ma chi erano i Giganti? Un anagramma forse può rivelare a chi erano indirizzate le allusioni implicite con il riferimento ai bestiali Giganti. I nomi dei due promessi sposi dei Giganti, Uma di Dornio e Lopardo d’Arcifa sono in realtà due anagrammi: Uma di Dornio è l’anagramma di “un dio di Roma”; Arcifa è l’anagramma di “Africa”. La spiegazione dell’anagramma consente di decodificare le allusioni di Pirandello: “un dio di Roma” è ironicamente Mussolini; Arcifa-Africa è un riferimento al progetto di conquista dell’Africa da parte del fascismo.

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